In un settore che spesso celebra il risultato più che le persone che lo rendono possibile, c’è chi sceglie di spostare lo sguardo sul lavoro, sulla dignità e sulla collettività.
Danilo Iannetti è architetto libero professionista e tra i fondatori di Ullarc – Unione lavoratrici e lavoratori in Architettura, un collettivo nato per rimettere al centro le condizioni di chi fa architettura, promuovendo equità, solidarietà e consapevolezza.
Attraverso un approccio orizzontale e partecipato, Ullarc costruisce spazi di confronto, mutuo soccorso e crescita collettiva, aprendo un dialogo pubblico su cosa significhi oggi lavorare in modo giusto e sostenibile. Per Danilo, la vera rivoluzione è quella che nasce dalla gentilezza, dall’ascolto e dal coraggio di costruire insieme un futuro più equo per la professione e per le persone.
Ciao Danilo! Raccontaci chi sei, come si chiama la tua organizzazione e cosa fate?
Sono Danilo Iannetti, Architetto libero professionista a partita iva (vera). Sono uno dei membri fondatori di Ullarc (Unione lavoratrici e lavoratori in Architettura), collettivo di colleghe e colleghi che si occupa a grandi linee di spostare l’attenzione dal prodotto dell’architettura alle condizioni di chi vi lavora perché crediamo che non esista sostenibilità dove il lavoro non è equo.
Quando è nata l’organizzazione?
Alcuni dei membri fondatori si sono conosciuti e hanno posto le basi di quella che poi sarebbe diventato Ullarc nel Settembre 2022 ma il collettivo vero e proprio nasce il 24 Marzo 2023 con la presentazione del nostro Manifesto (che trovate sul sito) durante l’evento “il lavoro in architettura” presso Triennale di Milano.
Che forma giuridica avete?
Al momento non abbiamo una forma giuridica ma proprio in questo periodo abbiamo cominciato il percorso per costituirci come associazione. Non sappiamo ancora quale sia la forma migliore ma lo sapremo presto.
Qual è una definizione o una parola che useresti per spiegare cos’è?
Ullarc è uno spazio sicuro, solidale, di mutuo soccorso in cui acquisire consapevolezza e crescere collettivamente.
Quanto tempo riesci a dedicare al progetto in questa fase?
L’attività di Ullarc è per tutti noi volontaria ed extra-lavorativa per cui il tempo che le dedichiamo varia in base alle nostre disponibilità personali e in base alle iniziative che riusciamo a mettere in piedi o a cui siamo invitati. In media ci riuniamo due volte al mese per fare un punto della situazione ma ognuno di noi si muove autonomamente sulle iniziative seguendo una linea comune decisa collettivamente.
Racconta qual è stata la scintilla iniziale, se c’è stato un episodio, un momento in cui hai deciso che questo progetto ti avrebbe assorbito e sarebbe diventato la tua vita.
Ho sempre sentito il bisogno di fare qualcosa per tentare di porre rimedio alle ingiustizie e credo che i primi mesi di costruzione collettiva del manifesto mi abbiano insegnato tanto. L’episodio che definirei chiave penso sia stato il giorno della presentazione ufficiale in Triennale. Nello specifico, le parole e i modi utilizzati dal mio compagno di collettivo Mauro nel rispondere ad un intervento. Credo sia stato il momento in cui mi son convinto che sarei voluto diventare una persona migliore, come lui. Incanalando la rabbia dettata da miei episodi personali sfortunati come spinta per studiare, approfondire, ascoltare, esercitare l’empatia e aiutare gli altri. È stata la prima volta in cui non mi sono sentito da solo nel mio settore così ho deciso di mettere tutto me stesso affinché qualcun altro provasse la stessa emozione.
Sei felice di fare ciò che fai? Cosa ti rende felice?
Ullarc è il progetto più bello a cui io abbia mai partecipato. In una società a mio parere individualista credo non esista atto più ribelle e libero della costruzione collettiva di un cambiamento attraverso il reciproco aiuto, la gentilezza ed il mutuo soccorso. Ullarc mi rende felice perché mi rende parte attiva di una comunità che non vuole lasciare nessuno indietro.
Qual è la vostra forma di attivismo? Che messaggio lancia alla società?
Come scritto nel nostro manifesto noi vogliamo aprire un dibattito pubblico e formulare proposte concrete per contrastare la svalutazione del lavoro che colpisce prima di tutto i giovani e danneggia la società. Per questo sentiamo l’esigenza di diffondere la piena consapevolezza del valore e del ruolo dei nostri mestieri e per farlo promuoviamo diverse iniziative sui territori. Perché è vero che la rete offre una miriade di occasioni ma niente è forte come l’incontro di persona. Vorremmo che le persone non si sentissero sole e che trovassero in Ullarc uno spazio sicuro e solidale. L’unione non sono io, non siamo noi. L’unione è in ogni posto in cui due colleghi si aiutano per superare insieme un problema o degli studenti si siedono in cerchio in un parco per parlare di un futuro professionale sano e sostenibile.
Cosa rappresenta Ullarc per la comunità del vostro territorio?
Questa è una risposta a cui non so rispondere ma istintivamente mi viene da dire “speranza”.
Quanto sei soddisfatto del supporto che hai ricevuto dalla Pubblica Amministrazione considerando un po’ tutto?
Dipende molto dal contesto territoriale, dal momento e dalle condizioni al contorno. In questo momento ci interfacciamo molto con l’ordine professionale e le Università di diversi territori. Questi contatti fanno parte di relazioni e processi molto lunghi e complicati che noi identifichiamo come azioni di lungo periodo e di grande impatto. Spesso ci capita di essere visti con fare un po’ dubbioso e un po’ impaurito. Questo è sostanzialmente dovuto al fatto che certi sistemi funzionano in un certo modo da sempre e ci vogliono tempo, idee e tantissima pazienza per mettere in atto un cambiamento. Qualcosa si sta muovendo per cui resto fiducioso che accadranno belle cose.
Che consigli daresti a un’altra persona che vuole intraprendere un percorso come il tuo? Quali sono le cose più importanti da sapere e i rischi di cui è indispensabile essere a conoscenza?
Il primo consiglio è quello di ascoltarsi e rispettarsi. Stabilire una scala di valori e principi inamovibili e usarla come una bussola nei momenti di buio e sconforto che saranno tanti (molti meno di quelli di gioia). Il secondo è mettere da parte personalismi e ascoltare le persone che camminano a fianco a te nel percorso. Il terzo è quello di studiare, approfondire, verificare le fonti e non farsi prendere dalla foga del momento per non correre il rischio di bruciarsi. “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce” credo sia la frase che rappresenta al meglio il concetto che intendo esprimere.
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