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Le accuse schiaccianti di Francesca Albanese, riassunte da noi

Il 30 giugno 2025 viene pubblicato “From economy of occupation to economy of genocide, Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967”, di Francesca Albanese.
Questa pubblicazione, appoggiata da un gruppo di economisti di spicco, genera un intenso scalpore mediatico che travolge non solo i social e i mass media, ma le maggiori istituzioni internazionali. Prima, gli Stati Uniti attaccano F. Albanese con delle sanzioni che riguardano i suoi beni collocati negli USA e il divieto di accesso agli stessi, poi, qualche giorno più tardi, la commissione dell’ONU incaricata di indagare sulla situazione in Palestina si dimette in blocco, in seguito ad accuse di antisemitismo.
Francesca Albanese è inoltre vittima di una campagna diffamatoria promossa da uno dei maggiori motori di ricerca, Google, pagato dallo stato di Israele per favorire risultati web sulla persona di Albanese non oggettivi e infamanti.
Ma cosa c’è scritto in questo famigerato VI rapporto di Albanese? L’abbiamo letto e riassunto per favorirne la divulgazione.
Cosa dice il report?
F. Albanese presenta il suo lavoro parlando chiaramente di occupazione israeliana sul territorio sin dal 1967. Afferma che alla base del progetto coloniale israeliano di sfollamento e sostituzione vi sarebbero dei meccanismi aziendali, e quindi degli interessi economici, legati a imprese internazionali rinomate e non solo. In particolare, alcune delle maggiori società citate sono proprio statunitensi, come Google, Microsoft, Amazon e IBM.
Albanese inoltre suddivide l’azione israeliana nei confronti della Palestina in occupazione e apartheid, e infine genocidio, e mette in evidenza in ognuna di queste fasi dei chiari interventi diretti o indiretti di aziende divenute contribuenti attive dell’oppressione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania per interessi economici. Le fasi di attacco violento non sono una reazione agli eventi di Ottobre 2023, bensì un chiaro piano strategico di insediamento iniziato il secolo scorso.
Colonialismo e genocidio. Come gli enti aziendali lo hanno reso possibile.
“Le imprese coloniali e i genocidi ad esse associati sono stati storicamente guidati e resi
possibili dal settore aziendale.”
Albanese parla di una forma di dominio chiamata “capitalismo razziale coloniale”, definendo una strategia di controllo dettata da interessi commerciali che hanno come risultato la sottrazione sistematica delle terre, e poi della stessa vita, alle popolazioni indigene. Fenomeno, peraltro, che non si limita solo alla Striscia di Gaza, né manca di ricordarci pratiche del passato. Un importante precedente che le accuse di Albanese ci ricordano è il processo agli industriali dopo l’Olocausto.
Queste imprese sarebbero coinvolte poiché sostenitrici dell’occupazione illegale e della campagna di genocidio, nonché complici dell’istituzionalizzazione di una forma di apartheid coloniale.
Sfollamento e sostituzione.
“Questa indagine si concentra su come gli interessi aziendali sostengono la doppia logica di sfollamento e sostituzione dei coloni israeliani volta a espropriare e cancellare i palestinesi dalle loro terre. L’indagine prende in esame entità aziendali in vari settori: produttori di armi, aziende tecnologiche, società di costruzione ed edilizia, industrie estrattive e di servizi, banche, fondi pensione, assicurativi, università e organizzazioni di beneficenza.” A questi “enti” afferiscono imprese commerciali, multinazionali, entità a scopo di lucro e senza scopo di lucro, sia pubbliche che private, ma anche statali.
Da società per azioni a società a responsabilità limitata: il velo giuridico.
Albanese spiega come sia stato possibile eludere il sistema giuridico con la trasformazione di società per azioni, con poteri simili allo Stato, in società private a responsabilità limitata, man mano che il commercio intercoloniale diventava sempre più rilevante per le economie europee. In questo modo le responsabilità venivano esternalizzate.
Lacune nella governance globale.
Il fatto che alcuni conglomerati aziendali abbiano un PIL superiore a quello degli Stati sovrani li dota di un potere politico ed economico smisurato, ma anche di diritti non commisurati alle responsabilità giuridiche e agli obblighi con cui devono confrontarsi. Quando poi questi conglomerati si invischiano negli affari istituzionali, prendono parte attiva alla generazione del diritto internazionale che dovrebbe regolarli. Ciò si traduce in un conflitto d’interesse ben evidente.
Diritti e doveri degli stati e degli enti aziendali.
Gli Stati oggi hanno il dovere di “prevenire, indagare, punire e porre rimedio alle violazioni dei diritti umani da parte di terzi”, mentre la condotta aziendale stessa deve osservare una normativa internazionale, a prescindere dall’intervento dello Stato.
I “Principi guida” includono una serie di responsabilità degli enti aziendali, affinché essi garantiscano degli standard di diritti umani nella condotta. Questo indipendentemente dal fatto che lo Stato in cui operano li rispetti o meno.
Quindi, le istituzioni nazionali devono essere i responsabili primari, ma gli enti aziendali privati devono anch’essi seguire dei principi guida, degli obblighi specifici.
Inoltre, secondo il testo delle Nazioni Unite “Heightened Human Rights Due Diligence for Business in Conflict-Affected Contexts: A Guide” del 2022, durante i conflitti gli enti aziendali dovrebbero osservare una condotta ancora più ligia e adeguarsi. Questo si traduce non solo in azioni passive, ma in una condotta consapevole e l’uso di misure adeguate, come la cessazione di rapporti commerciali o esercitare la propria influenza nell’area di conflitto per salvaguardare i diritti umani.
Crimini internazionali: siamo tutti complici.
Nonostante i Principi Guida e gli obblighi vincolanti per Stati e imprese, dall’occupazione di Gaza emerge con chiarezza come entrambi siano coinvolti nella perpetrazione di crimini internazionali. Israele è insediato illegalmente in Palestina: “citando la segregazione razziale e l’apartheid, le violazioni del diritto all’autodeterminazione e il divieto dell’uso della forza, la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha affermato in modo inequivocabile l’illegalità dell’occupazione di Israele, compresi l’esercito, le colonie, le infrastrutture e il controllo delle risorse.” L’ICJ ha anche riconosciuto come crimini di guerra e crimini contro l’umanità a stampo genocidario le azioni perpetrate da Israele in seguito agli avvenimenti di ottobre 2023.
Gli enti che continuano a intrattenere relazioni con Israele, possono quindi essere ritenuti complici di:
Dall’economia dell’occupazione coloniale all’economia del genocidio.
Perché colonialismo?
Albanese cita Sai Englert and Gargi Bhattacharyya: “Il colonialismo implica lo sfruttamento, il profitto e la colonizzazione della terra attraverso l’espulsione dei suoi proprietari”.
Di questo processo di sfollamento e sostituzione, le imprese sono complici e responsabili.
Un esempio è il Fondo Nazionale Ebraico, fondato nel 1901 con il fine di acquistare terreni. Essa ha contribuito a pianificare ed effettuare lo sfollamento.
Israele ha potuto affondare i denti nei territori Palestinesi grazie al sostegno degli enti aziendali che hanno fornito “le armi e i macchinari necessari per distruggere case, scuole, ospedali, luoghi di svago e di culto, mezzi di sussistenza e beni produttivi come uliveti e frutteti, per segregare e controllare le comunità e limitare l’accesso alle risorse naturali.” Hanno dunque contribuito alla militarizzazione e incentivato la presenza di Israele che ora si ritrova a compiere una pulizia etnica ben pianificata, mascherando le proprie azioni come “legittima difesa antiterroristica”.
Soffocamento dell’economia Palestinese.
Attraverso restrizioni su commercio, investimenti, piantumazione di alberi, pesca e di accesso all’acqua, il mercato Palestinese è stato soffocato: agricoltura e industria debilitate.
Le sue risorse sono state sfruttate, la manodopera impoverita spremuta fino all’ultima goccia.
Il monopolio Israeliano, istituzionalizzato con accordi come quello di Oslo del 1993 che riguardano la Cisgiordania, schiaccia la libertà e l’indipendenza.
Anche istituzioni finanziare ed accademiche sono complici: banche, fondi pensionistici, assicurazioni, tutti hanno finanziato l’occupazione illegale. Le università hanno sostenuto l’ideologia alla base delle pratiche coloniali e fornito centri di ricerca e finanziamenti per lo sviluppo di armi.
La fase di trasferimento.
Gli stessi che hanno fornito gli ausili economici e materiali per la fase di occupazione sono complici della fase di sfollamento e trasferimento forzato e violento di Palestinesi dalle loro terre.
Dopo ottobre 2023, le stesse armi sviluppate e testate sul territorio palestinese sono diventate i mezzi dello sterminio di massa e distruzione del territorio.
I servizi di sorveglianza e incarcerazione utilizzati un tempo per tenere i palestinesi segregati in una forma di apartheid, sono diventati strumenti di morte.
Le macchine pesanti per la demolizione di edifici e infrastrutture usate per il sequestro di terre e risorse sono diventate mezzi per “ripulire” le città a Gaza e in Cisgiordania.
1- Settore militare e i profitti dell’eliminazione.
Oppressione, repressione e distruzione sono state rese possibili dalla violenza militarizzata di Israele, garantita dalla collaborazione di quest’ultimo con l’industria bellica internazionale.
Le stesse frequenti campagne militari sul territorio hanno fornito un campo di prova per le nuove tecnologie militari, poi messe in commercio. Una di queste è il programma F-35 guidato dagli Stati Uniti (sviluppo e produzione di una famiglia di caccia multiruolo stealth).
Il settore militare/industriale è una colonna portante dell’economia israeliana. Fra il 2020 e il 2024, Israele è stato l’ottavo maggiore esportatore di armamenti al mondo. A trarne profitto sono state le imprese produttrici di armi, sia locali che estere, che hanno goduto dell’aumento vertiginoso della spesa militare israeliana. Fra il 2023 e il 2024, essa è aumentata del 65%, ovvero 46,5 miliardi di dollari.
Fra gli enti Israeliani troviamo Elbit Systems, frutto di una partnership fra pubblico e privato, poi privatizzata, che ha fornito personale chiave al Ministero della Difesa. Assieme a Israel Aerospace Industries (IAI) sono tra i primi 50 produttori di armi a livello globale. Si occupano di approvvigionamento e rafforzano alleanze militari estere tramite l’esportazione e lo sviluppo congiunto di tecnologie militari. È grazie a queste partnership interne ed esterne che Israele ha perpetrato i suoi crimini.
All’estero, fra chi ha collaborato per gli approvvigionamenti troviamo:
Chi si è occupato delle transazioni di esportazione e della fornitura? Israele si è servito di intermediari come studi legali, società di revisione, agenti, broker, ma anche trafficanti d’armi. Fra questi intermediari, F. Albanese chiama in causa:
2- Sorveglianza e sistemi carcerari. Il profitto della “start-up nation”.
Per la repressione automatizzata, sono essenziali dei sistemi e delle infrastrutture per la raccolta e storage di dati e per il controllo e sorveglianza di massa. Le seguenti aziende hanno fornito le infrastrutture, traendo profitto economico e possibilità di sviluppo di nuove tecnologie su un campo di prova. Hanno stabilito filiali e centri di ricerca ottenendo grandi risultati nello sviluppo di servizi come le telecamere a circuito chiuso, intelligenza artificiale, sorveglianza biometrica, etc.
Questi sistemi generano un gran volume di dati, i quali necessitano di un servizio di storage. In questo sono accorsi:
Questi tre giganti del settore Hi-tech dotano Israele anche di servizi di Intelligenza Artificiale.
Altri servizi di elaborazione dati e generazione di elenchi di obiettivi militari tramite l’uso di IA sono frutto di collaborazioni con Palantir Technology Inc., USA.
Grazie agli investimenti locali e internazionali nelle start-up, Israele si è guadagnato il titolo di “Start-up nation”, prima al mondo per start-up pro capite nel settore della tecnologia militare. Questo settore rappresenta, al 2024, il 64% delle esportazioni di Israele.
3- Tecnologie nate per utilizzi civili come mezzi di distruzione
I macchinari pesanti, nati per usi civili, sono stati trasformati in armi: schiacciano persone vive, radono al suolo il 70% degli edifici e delle infrastrutture e distruggono l’81% delle terre agricole.
Fra i principali fornitori di attrezzature ci sono:
Il bulldozer ha “liberato” le linee di incursione, capeggiato demolizioni di massa, raid di ospedali e uccisione di civili. Caterpillar ha appena firmato nel 2025 un nuovo contratto multimilionario con Israele.
La fase di sostituzione.
Oltre alla distruzione della Palestina, gli enti aziendali “hanno aiutato a costruire ciò che la sostituisce. Colonie e relative infrastrutture, estrazione e commercio di materiali, energia e prodotti agricoli, attirando visitatori nelle colonie come se fossero una normale destinazione turistica”. (F. Albanese)
1- Costruire case su una terra rubata.
“Sono state costruite più di 371 colonie e avamposti illegali, alimentati e commercializzati da aziende che facilitano la sostituzione della popolazione […] nei territori occupati da Israele”. Dal 2024, il Ministero dell’Edilizia e dell’Abitazione ha ottenuto un budget raddoppiato, e sono state costruite 57 nuove colonie.
Il supporto materiale e logistico per la realizzazione di queste opere sono sia Israeliane che internazionali. Fra cui:
Varie imprese hanno favorito lo sviluppo di infrastrutture che collegano le colonie con Israele, escludendo la popolazione palestinese.
Le società immobiliari, infine, vendono e pubblicizzano migliaia di appartamenti costruiti nelle colonie. Fra queste:
2- Controllo su risorse naturali.
Dal 1967, Israele ha assunto il controllo completo delle risorse palestinesi imponendo permessi quasi impossibili da ottenere e favorendo la propria rete e quella colonica a discapito dei palestinesi.
Questa strategia ha creato una forte disuguaglianza nell’approvvigionamento e l’utilizzo delle risorse.
Inoltre, le infrastrutture sono state integrate nell’apparato israeliano, rendendo i sistemi palestinesi dipendenti e limitando qualsiasi sviluppo indipendente.
Tutto ciò ha avuto effetti significativi sull’economia, sull’agricoltura e sulla quotidianità dei palestinesi, ed è condannato come violazione del diritto internazionale.
Dopo l’ordine di assedio totale del 2023, questa dipendenza forzata e artificiale è diventata un’arma di oppressione. Le forniture, già scarse e carissime, non sono mai state totalmente ripristinate.
Acqua
Israele, tramite la compagnia idrica Mekorot, mantiene il monopolio dell’acqua nei territori occupati, obbligando i palestinesi ad acquistarla a costi elevati e con forniture instabili. A Gaza, dove oltre il 97% dell’acqua locale è inquinata, la popolazione dipende quasi interamente dalle condutture israeliane. Dopo ottobre 2023, Mekorot ha ridotto l’erogazione al 22% della capacità, lasciando vaste aree senza acqua potabile per la maggior parte del tempo, trasformando l’accesso alle risorse idriche in uno strumento di oppressione.
Elettricità, gas e carburante
Gaza, già dipendente dalle forniture israeliane e con una centrale elettrica insufficiente, poiché essa è principalmente al servizio di Israele e dei suoi coloni che la controllano, ricorre all’acquisto di carburante, necessario ad alimentare i generatori, e si rifornisce presso le reti elettriche Israeliane. I tagli di energia e carburante dal 2023 hanno portato al collasso di ospedali, trasporti e sistemi idrici, aggravando la crisi umanitaria e sanitaria.
Gli enti aziendali esteri complici del genocidio sono:
La natura apparentemente civile di questi enti aziendali non li esonera da responsabilità. Rifornendo Israele infatti, sono complici del processo di annessione forzata.
3- Il commercio dei frutti dell’illegalità.
L’agrobusiness, che rifornisce coloni Israeliani di beni e attira investitori internazionali, prospera grazie all‘estrattivismo e all’accaparramento delle terre.
Tnuva è il più grande gruppo alimentare israeliano, oggi controllato dalla cinese Bright Dairy & Food Co. Ltd.
Il suo stesso presidente ha definito l’agricoltura e in particolare l’allevamento di bovini da latte come “strumenti strategici per sostenere il progetto di colonizzazione israeliana”.
Aziende come Tnuva acquistano prodotti provenienti dalle colonie, che hanno sostituito le comunità locali, e li vendono anche sul mercato palestinese, che rimane vincolato da numerose restrizioni e dipendente.
Tnuva quindi non solo si è avvantaggiata della colonizzazione agricola, ma ha anche consolidato il proprio dominio sul mercato palestinese grazie alla distruzione dell’industria lattiero-casearia locale.
Netafim (Israele/Messico, controllata da Orbia Advance Corporation): leader mondiale nell’irrigazione a goccia, ha sviluppato la sua tecnologia in linea con le esigenze di espansione israeliane.
Pur presentandosi come sostenibile, le sue soluzioni hanno favorito lo sfruttamento intensivo di acqua e terre in Cisgiordania, aggravando la scarsità per i palestinesi e mettendo a rischio prosciugamento il fiume Giordano e il Mar Morto.
Nella Valle del Giordano, i sistemi Netafim hanno sostenuto l’espansione agricola israeliana, mentre i contadini palestinesi, privati dell’accesso all’acqua e con la maggior parte delle terre non irrigate (93%), sono stati progressivamente espulsi e resi non competitivi.
Sia Tnuva che Netafim sono complici di insicurezza alimentare e carestia.
4- Vendita al dettaglio globale
I prodotti Israeliani, anche delle colonie, invadono il mercato globale usando le difficoltà di tracciamento legate alle filiere di produzione dislocate e frammentate a loro favore. Le aziende, per evitare le crescenti reazioni e boicottaggi, mettono sul mercato prodotti con etichette ingannevoli e difficili da tracciare fino alle basi della catena di produzione.
Ad esempio, essendo le colonie illegali, i loro prodotti non potrebbero essere commercializzati, ma molte aziende li etichettano come “prodotti in Israele”, aggirando i controlli.
Alcuni di complici sono:
5- Turismo di occupazione
Alcune delle principali piattaforme utilizzate per la prenotazione di viaggi e vacanze, come Booking Holdings Inc. e Airbnb, Inc. affittano proprietà e camere d’albergo nelle colonie israeliane.
Dal 2018 al 2025 il numero di annunci pubblicati per le colonie Israeliane è quasi triplicato, promuovendole come “comunità calde e amorevoli”, senza mai citare la violenza nei confronti delle comunità palestinesi e le limitazioni imposte all’accesso sulla terra.
Settore finanziario e abilitazione
Il sistema finanziario internazionale ha avuto un ruolo centrale nel sostenere l’occupazione israeliana e l’assalto a Gaza. Israele ha coperto l’aumento enorme del bilancio militare (dal 4,2% all’8,3% del PIL tra 2022 e 2024) emettendo obbligazioni pubbliche, sottoscritte e acquistate da banche, gestori patrimoniali, fondi pensione e compagnie assicurative. Questi attori hanno garantito liquidità, ridotto i costi di finanziamento e investito direttamente in società che forniscono armi, infrastrutture e tecnologie utilizzate nell’occupazione. Parallelamente, organizzazioni caritatevoli e religiose hanno raccolto fondi per colonie e unità militari, spesso con vantaggi fiscali all’estero.
Attori finanziari coinvolti:
Il ruolo delle università
In Israele le università narrano la storia e la legislazione secondo il diktat statale propagandistico, negando la storia Palestinese e giustificando l’occupazione. I dipartimenti di scienze e tecnologie invece collaborano con i già citati partner internazionali (Elbit Systems, IAI, IBM e Lockheed Martin), fungendo da centri di ricerca e sviluppo per armi e sistemi di tracciamento (vedi paragrafo “Settore militare e i profitti dell’eliminazione”).
Il Ministero della Difesa israeliano (IMOD) è l’unico esercito straniero che finanzia la ricerca del MIT. Tra i progetti IMOD degni di nota vi sono il controllo degli sciami di droni, gli algoritmi di inseguimento e la sorveglianza subacquea.
Il programma europeo Horizon Europe ha finanziato con oltre 2,12 miliardi di euro istituzioni israeliane, inclusi enti militari e tecnologici complici di occupazione e apartheid. Alcune università europee, beneficiando di questi fondi, rafforzano la cooperazione con aziende e istituzioni israeliane legate a violazioni dei diritti umani. Nonostante l’escalation post-ottobre 2023, molti atenei continuano tali collaborazioni e investimenti.
Fra queste, TUM Università tecnica di Monaco (Germania), e Università di Edimburgo (Regno Unito), ricevono fondi da Horizon per collaborare con partner Israeliani in progetti congiunti e detengono milioni di euro in azioni di Alphabet, Amazon, Microsoft e IBM, aziende centrali nell’apparato di sorveglianza israeliano. Edimburgo collabora inoltre con l’ormai noto Leonardo S.p.A..
Francesca Albanese, messe in luce queste collaborazioni, getta un valido dubbio sulla presunta motivazione di lotta all’antisemitismo con cui le università scoraggiano la dissidenza dei propri studenti, e suggerisce che il vero obiettivo sia la salvaguardia degli interessi finanziari delle istituzioni.
Conclusioni di Francesca Albanese
Secondo la relatrice speciale, alla luce i questo rapporto, il genocidio continua perché redditizio. Vi sono ancora troppi enti aziendali influenti legati all’economia dell’occupazione e del genocidio, mentre le Big Tech occidentali e Israeliane trovano un florido campo di ricerca e testing nel territorio palestinese, ormai devastato. Quando il bilancio in difesa Israeliano è raddoppiato, sono state imprese internazionali a sostenere l’economia e promuovere azioni genocidarie. Aziende del mondo dell’edilizia e impegnate nello sviluppo di armi hanno reso possibile l’aver raso al suolo Gaza e l’aver cancellato un’intera popolazione civile, con la scusa di star cercando “terroristi”.
Nel frattempo l’agrobusiness alimenta l’espansione, il turismo legittimizza e normalizza le colonie, i prodotti di queste ultime sono venduti nelle catene di supermercati e le università finanziano lo sviluppo bellico in nome di una ricerca “neutrale”.
Si tratta di una vera “impresa criminale congiunta” in cui ogni atto sostiene un meccanismo collettivo di oppressione. Le aziende coinvolte non sono semplici spettatrici: traggono profitto dalle violazioni, alimentano l’occupazione e contribuiscono direttamente ai crimini in corso. La mancata dovuta diligenza le rende complici; ogni investimento oggi significa sostenere un sistema criminale.
Gli obblighi d’impresa e i diritti umani non possono essere separati dal progetto coloniale israeliano, che opera come macchina genocida nonostante le sentenze della Corte internazionale di giustizia. Le relazioni economiche con Israele devono cessare fino alla fine dell’occupazione, dell’apartheid e al risarcimento. Il settore privato e i suoi dirigenti devono essere chiamati a rispondere: solo così sarà possibile interrompere il genocidio e smantellare il sistema globale di capitalismo razziale che lo sostiene.
Questa posizione non è mera ideologia, ma una responsabilità legale che la relatrice (una giurista essa stessa) spiega approfonditamente nell’Allegato I di questo report. In esso, Albanese illustra il contesto giuridico internazionale al quale enti aziendali e statali sono chiamati a rispondere e cessare attività legate a crimini contro l’umanità, e offre spunti possibili per tirarsene fuori e contribuire a un riscatto dei palestinesi.
Il nostro commento: cosa possiamo fare?
Invitiamo i lettori a prendersi il tempo necessario a leggere il testo integrale, disponibile anche in italiano, per essere informati e consapevoli su uno dei crimini più atroci dei nostri tempi. Questa consapevolezza ci dona la possibilità di scelta: da che parte vogliamo stare?
Cosa possiamo fare? Possiamo esercitare pressione verso istituzioni ed enti aziendali coinvolti, attraverso l’esercizio dell’opposizione politica e del boicottaggio. Possiamo influenzare e sensibilizzare chi ci sta vicino a fare lo stesso. Possiamo unirci a movimenti virtuosi che partono dal basso, spinti da un vero spirito umanitario. Possiamo scegliere, in un momento critico dove il mercato ha un ascendente troppo forte sulle politiche, di prendere una posizione netta. Perché abbiamo già imparato alle spese di milioni di innocenti che cosa vuol dire rimanere indifferenti e lasciare che questi eventi storici facciano il loro corso come se le nostre azioni e scelte non potessero generare anche una piccola onda di cambiamento. Oggi siamo chiamati a scegliere da che parte stare, e noi di Apical scegliamo la parte dell’umanità.
A cura di Giovanna Borrelli.
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