Prova 720

Il 22 maggio 2025 la Corte Costituzionale italiana ha depositato una decisione storica, attesa da anni: le bambine e i bambini nati in Italia tramite procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa effettuata all’estero hanno diritto al riconoscimento, fin dalla nascita, da parte di entrambe le madri. Un riconoscimento legale pieno, senza dover passare attraverso procedure di adozione o sentenze di tribunale.

È una sentenza che avvicina il diritto alla realtà. Una realtà già presente da tempo: quella delle famiglie omogenitoriali, che finora si sono trovate a vivere in un limbo giuridico, spesso senza tutele adeguate.

Ma questa buona notizia arriva in un quadro più ampio che resta complesso. A dircelo è la Rainbow Map 2025 di ILGA-Europe: l’Italia è ancora tra i fanalini di coda in Europa per la tutela dei diritti LGBTQIA+.

Cosa ha stabilito la Corte Costituzionale

La sentenza riguarda le bambine e i bambini nati in Italia attraverso tecniche di PMA eterologa (cioè con donazione di seme da parte di una terza persona) praticate all’estero da coppie di donne.

Finora, in questi casi, solo la madre biologica veniva registrata all’anagrafe. L’altra madre – che in gergo legale è chiamata intenzionale, cioè colei che non partorisce ma dà il suo consenso alla fecondazione eterologa – doveva ricorrere all’adozione in casi particolari, con iter lunghi e incerti.

La Corte ha giudicato questo sistema inadeguato e lesivo dei diritti delle persone minori nate da due madri. In particolare, ha sottolineato come il mancato riconoscimento della madre non biologica comprometta l’identità personale del minore, la certezza giuridica del suo status filiale, e l’accesso immediato alla cura e alla responsabilità condivisa da parte di entrambe le genitrici.

Nel concreto, questo significa che finora la madre non biologica era considerata una figura giuridicamente estranea: non poteva firmare un permesso per una gita scolastica, autorizzare un vaccino, accompagnare la propria bambina o il proprio bambino in viaggio all’estero. Tutte queste azioni quotidiane diventavano possibili solo con una delega, o dopo una lunga attesa per un eventuale riconoscimento giuridico.

Il ruolo (limitato) della stepchild adoption

In alcuni casi, per ottenere il riconoscimento legale del legame genitoriale, le madri non biologiche hanno potuto ricorrere alla cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione in casi particolari del minore già cresciuto all’interno della coppia: si tratta di una procedura già prevista dal 1983 ma applicata in forma limitata anche alle coppie omogenitoriali solo dal 2016 grazie alla giurisprudenza sviluppatasi dopo l’introduzione della legge sulle unioni civili.

Tuttavia, questa procedura richiede il consenso della genitrice già riconosciuta e l’autorizzazione di un tribunale. I tempi possono essere molto lunghi e l’esito non è garantito.

La sentenza della Corte Costituzionale supera questo scenario: stabilisce che quando una coppia di donne ha procreato grazie a una PMA effettuata all’estero con il consenso preventivo di entrambe, non è più necessario un percorso di adozione.

Sarà sufficiente il riconoscimento diretto alla nascita davanti all’ufficiale di stato civile, esattamente come avviene per le coppie eterosessuali.

Questa pronuncia della Corte è il risultato anche di un percorso giuridico e politico condotto con determinazione da alcune famiglie, con il supporto di associazioni come Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+, una rete di avvocate e avvocati che da anni lavora per promuovere l’uguaglianza e contrastare le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere. Proprio Rete Lenford ha patrocinato alcuni dei ricorsi giunti alla Corte Costituzionale, contribuendo in modo decisivo alla definizione di questo nuovo principio di diritto.

L’Italia e i diritti LGBTQIA+: una mappa che parla chiaro

Nonostante questo passo avanti, il contesto italiano resta fragile. Secondo la Rainbow Map 2025 di ILGA-Europe, l’Italia si colloca al 35º posto su 49 Paesi europei in termini di diritti LGBTQIA+, con un punteggio del 24,41%.

Il punteggio basso è legato soprattutto all’assenza di leggi nazionali che tutelino in modo strutturale le famiglie omogenitoriali, le persone trans e intersessuali, e che contrastino efficacemente la violenza e le discriminazioni.

La mappa valuta sette macro-aree: uguaglianza e non discriminazione, famiglia, crimini e discorsi d’odio, riconoscimento legale del genere, integrità corporea per le persone intersessuali, libertà di espressione e associazione, asilo. L’Italia ottiene punteggi bassi su quasi tutte.

La recente sentenza della Corte può migliorare la situazione sul piano giuridico, ma non basta a colmare le lacune legislative né a garantire un cambiamento culturale diffuso.

Le famiglie esistono, anche quando la legge non le riconosce

In Italia, le famiglie omogenitoriali non sono certo una novità: esistono da anni, crescono figli e figlie, costruiscono legami e reti di cura. La mancanza di riconoscimento legale ha reso la loro vita più difficile, meno sicura, più esposta alla precarietà.

Questa sentenza riconosce finalmente qualcosa che le famiglie sperimentano ogni giorno: che due madri sono genitrici a tutti gli effetti, fin dall’inizio. E che i diritti dei bambini e delle bambine devono venire prima di ogni vuoto normativo o resistenza ideologica.

Una buona notizia, ma non un punto d’arrivo

Il pronunciamento della Corte Costituzionale è un segnale forte. Ma non può sostituirsi a una legge. Serve un intervento normativo chiaro, che garantisca uguaglianza e protezione a tutte le famiglie, indipendentemente dalla composizione.

Serve anche un cambiamento culturale, che coinvolga scuole, media, istituzioni e cittadinanza. Perché raccontare, ascoltare, valorizzare le famiglie omogenitoriali significa rafforzare il tessuto collettivo di cui tutte e tutti facciamo parte.

A cura di Alice Orrù.

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