Prova (1)

La COP30 di Belém si è chiusa sabato 22 novembre lasciando un’impressione chiara: il processo multilaterale è ancora lontano dal confrontarsi davvero con il cuore politico della crisi climatica. Il Global Mutirão nasceva infatti con l’ambizione di colmare i principali nodi rimasti aperti – lacune negli NDC, finanza, cooperazione commerciale e ruolo dei combustibili fossili – ma il risultato finale riflette un compromesso al ribasso che tradisce le aspettative generate dalla presidenza brasiliana.

Sul fronte degli NDC, il negoziato riconosce apertamente il crescente divario tra ciò che richiede l’Accordo di Parigi e ciò che i Paesi stanno effettivamente facendo. Tuttavia, le risposte restano volontarie e prive di meccanismi vincolanti. L’uscita dai combustibili fossili, tema politicamente più sensibile, è completamente espunta dal testo: la roadmap proposta dal Brasile si scontra con le resistenze di un blocco eterogeneo di Paesi produttori, e le decisioni del Global Stocktake di Dubai vengono richiamate solo in modo generico. Questo silenzio politico pesa: a dieci anni dall’Accordo di Parigi, la mitigazione rimane ostaggio del veto fossile.

La stessa dinamica si ritrova nella finanza climatica. Il nuovo work programme e la richiesta di triplicare i fondi per l’adattamento entro il 2035 mostrano un impegno simbolico, ma non trasformativo. I Paesi meno sviluppati, che chiedevano obiettivi più alti e prevedibilità, ottengono un testo che riconosce l’urgenza senza però intervenire sui rapporti di forza che bloccano il flusso delle risorse. Anche nel Fondo Perdite e Danni l’avvio della fase pilota è un passo importante, ma i contributi restano modesti e la governance rimane frammentata: il potenziale politico del tema è ancora lontano dall’essere espresso.

L’adattamento, pur segnando alcuni progressi tecnici significativi (indicatori GGA, nuova Belém–Addis Vision), rimane appeso alla questione finanziaria. Politicamente, si tratta di un equilibrio fragile: i Paesi del Sud globale accettano la struttura del GGA solo grazie a un pacchetto di garanzie che ne limita la forza prescrittiva. Di fatto, il testo fotografa l’incapacità del processo di affrontare la crescente asimmetria tra chi è più vulnerabile e chi ha maggiore capacità di agire.

Sul Global Stocktake, finalmente si esce da anni di stallo: il Dialogo UAE viene stabilizzato come ponte politico verso il GST2 e si riconferma il ruolo dell’IPCC come riferimento scientifico. Ma anche qui la politica ha scelto una versione “soft”: nessun rafforzamento della governance ministeriale, nessuna accelerazione degli obblighi.

La giusta transizione è uno dei pochi dossier dove emergono segnali politici innovativi. Il riconoscimento dei diritti, del lavoro dignitoso, dei Popoli Indigeni e delle persone di discendenza africana amplia l’agenda sociale del negoziato. Ma quando si passa alla dimensione climatica, il testo si ritrae ancora una volta dall’affrontare la questione fossile. Il risultato è un approccio che avanza sulle tutele, ma evita i conflitti strutturali.

In sintesi, COP30 consolida alcune architetture ma evita lo scontro politico che oggi è inevitabile.

Senza un confronto frontale sui combustibili fossili, sulla finanza e sulle responsabilità differenziate, il processo rischia di produrre testi sempre più sofisticati ma sempre meno capaci di incidere sulla realtà. La soglia di 1.5°C rimane nei documenti, ma non ancora nelle decisioni.

Questa COP è però diversa da tutte le precedenti: è la prima a svolgersi alla luce di un pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia sulla giustizia climatica che ci ricorda che non ridurre abbastanza le emissioni e non adempiere agli accordi è una violazione del diritto internazionale.

Fuori dalle sale, decine di migliaia di persone — comunità indigene, scienziati, giovani — hanno ricordato che il cambiamento climatico è prima di tutto una crisi di diritti umani. La Corte lo ribadisce: gli Stati devono proteggere chi è più vulnerabile, non chi è più potente.

Per questo molti l’hanno chiamata “la COP della verità” che però si è scontrata con un contesto politico molto complesso e verità diverse.

A cura di Lorena Piccinini.

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