Come l’educazione sessuo-affettiva può incidere positivamente sulla prevenzione della violenza
In Italia, nel 2024 sono state uccise 113 donne, 99 in ambito familiare o affettivo; in 61 casi è stato il partner o l’ex partner a toglierle la vita.
Sono numeri che da soli dovrebbero bastare a farci fermare e chiederci: che cosa stiamo insegnando – o non insegnando – alle nuove generazioni?
A ridosso del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, arrivano anche i nuovi dati ISTAT 2025 a dirci che non siamo di fronte a “casi isolati”, ma a un fenomeno strutturale. Secondo le stime preliminari dell’indagine “La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia – Anno 2025”, sono circa 6 milioni e 400mila – il 31,9% – le donne italiane tra i 16 e i 75 anni che hanno subìto almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita (a partire dai 16 anni). Il 18,8% ha subìto violenze fisiche, il 23,4% violenze sessuali; tra queste ultime, a vivere stupri o tentati stupri è il 5,7% delle donne. Istat
La stessa indagine ci dice che il 26,5% delle donne ha subìto violenza fisica o sessuale fuori dalla coppia – da parenti, amici, colleghi, conoscenti o sconosciuti – mentre tra le donne che hanno un partner o lo hanno avuto in passato il 12,6% è vittima di violenza fisica o sessuale all’interno della relazione. Dai partner si subiscono anche violenza psicologica (17,9%) e violenza economica (6,6%): segnali meno visibili del femminicidio, ma parte della stessa costellazione di controllo, svalutazione, dominio.
Questi numeri, per ora, riguardano solo le cittadine italiane: circa 17.500 donne di 16-75 anni, intervistate telefonicamente tra marzo e agosto 2025. La terza edizione dell’indagine – “Sicurezza delle donne” – è infatti ancora in corso per la parte relativa alle donne straniere, che verranno ascoltate di persona per tenere conto delle specifiche condizioni linguistiche e culturali. I risultati complessivi verranno diffusi nel 2026.
Nel frattempo, il numero di pubblica utilità 1522 continua a fotografare solo la punta dell’iceberg: nel quarto trimestre 2024 le chiamate sono state 16.710, con un incremento dell’8,8% rispetto al trimestre precedente e di +25,8% rispetto al 2023. Eppure, tra le donne che si rivolgono al 1522, quasi tre su quattro (72,9%) non denunciano alle autorità la violenza subita, frenate soprattutto dalla paura e dal timore delle reazioni dell’autore.
Dentro queste percentuali ci sono corpi, case, scuole, chat di classe, gruppi Telegram, prime relazioni, prime volte in cui “non sapevo dire di no”. La violenza di genere nasce e cresce anche lì dove mancano parole, strumenti, adulti preparati per parlare di consenso, desiderio, confini, piacere, potere. È esattamente in questo spazio vuoto che prova a intervenire Italy Needs Sex Education (INSE), il progetto portato avanti, tra lə altrə, da Elena Grandi: una rete che chiede a gran voce una educazione sessuo-affettiva strutturale, laica e competente, capace di lavorare sulla prevenzione molto prima che la violenza esploda nelle cronache.
In questo articolo, a partire dall’intervista con Elena Grandi, proviamo a tenere insieme i numeri e le storie: da una parte i dati ISTAT e i report del Ministero dell’Interno, dall’altra le domande scomode che nascono nelle aule, nelle famiglie, nei gruppi di pari. Perché se la scuola non educa alle relazioni, qualcuno – o qualcosa – prenderà il suo posto: il patriarcato, il porn revenge, le condivisioni social. E allora la vera domanda, oggi, è: che tipo di alfabetizzazione emotiva e sessuale vogliamo consegnare alle ragazze e ai ragazzi che stanno crescendo dentro questi numeri?
Italy Needs Sex Education lavora per costruire una scuola diversa: che insegna il rispetto, promuove il consenso, valorizza le differenze e fornisce agli adolescenti strumenti concreti per riconoscere, prevenire e contrastare la violenza.
Ciao Elena, come nasce Italy Needs Sex Education e qual è stato il fatto scatenante che vi ha fatto capire che era necessario agire?
Italy Needs Sex Education (che noi abbreviamo in INSE) nasce nell’estate del 2024 da un’urgenza condivisa da Flavia Restivo, politologa ed esperta in educazione sessuo-affettiva, e RiseUp Community APS, organizzazione che si occupa di attivismo digitale per creare impatto sociale, di cui io stessa faccio parte.
Flavia e noi condividevamo lo stesso desiderio di cambiamento, di provare a fare qualcosa per aggiustare una società rotta, indietro rispetto al resto d’Europa. Nello stesso periodo Flavia stava lavorando al suo nuovo libro “Gli svedesi lo fanno meglio”, saggio uscito nel 2025 che studia il modello di educazione sessuo-affettiva svedese, obbligatoria dal 1955.
Non c’è stato un vero e proprio episodio scatenante, ma la decisione di creare INSE è maturata da un’intenzione condivisa: portare l’educazione sessuo-affettiva dove serve, e farlo il prima possibile, per una società più giusta, meno violenta, più consapevole.
Qual è secondo voi il legame tra l’assenza di educazione sessuale nelle scuole e il perpetuarsi della violenza di genere?
Si pensa che fare educazione sessuale nelle scuole sia “parlare di sesso”. Questo è ciò che i detrattori cercano di far passare, per impedire che “si parli ai bambini di cose che non devono sapere così presto”. Basterebbe osservare il modello svedese e i virtuosi progetti (seppur sempre pochi) avviati in Italia, per capire che l’educazione sessuo-affettiva comprende una vasta gamma di tematiche: cos’è il consenso, come identificare l’abuso, come vivere con serenità e consapevolezza la propria sessualità, a partire dalla definizione della propria identità fino ad arrivare all’espressione e al benessere sessuale.
L’esplorazione di questi temi, adattati ad ogni fascia d’età, permette di insegnare alle persone, fin da piccole, a capire ed esprimere i propri confini ed ad accettare quelli altrui.
Va da sé che è un modo molto efficace per prevenire le forme di violenza, incluse quelle di genere, e di discriminazione. Una persona informata ed educata è una persona che prova meno paura e diffidenza nei confronti di ciò che esperisce come “diverso”, è una persona che si conosce nel profondo e sa gestire le proprie emozioni.
In che modo una corretta educazione affettivo-sessuale può contribuire a prevenire la violenza sulle donne?
L’educazione sessuo-affettiva permette, già in giovane età, di autodeterminarsi e rispettare le scelte delle altre persone. Si lavora moltissimo non solo sul consenso, ma sulle dinamiche relazionali, sul concetto di “possesso” e sulla libertà di scelta. Una donna informata è una donna che sa riconoscere l’abuso, individua le caratteristiche del ciclo della violenza, e sa cosa è amore e cosa è possessione. Ma, soprattutto, un uomo che ha fatto educazione sessuo-affettiva è un uomo che lavora sulla propria emotività, sui retaggi patriarcali, riconosce i comportamenti abusanti e non li fa propri.
Quali sono gli elementi chiave che dovrebbero essere inclusi in un percorso di educazione sessuale efficace nelle scuole italiane?
Il Manifesto di INSE (https://www.italyneedssexeducation.it/wp-content/uploads/2024/10/INSE-Manifesto_updated.pdf) parla chiaro: occorre parlare di educazione sessuo-affettiva in maniera completa ed olistica. Parlare di salute riproduttiva o di malattie sessualmente trasmissibili non è sufficiente. Occorre trattare il consenso, il rispetto, le relazioni sane.
Occorre fare educazione senza uno sguardo eteronormativo, ma abbracciando tutte le identità e gli orientamenti sessuali e relazionali. Significa farlo anche senza uno sguardo abilista, ma trattando tutti i corpi, anche quelli non conformi o con disabilità, e tutte le neurodivergenze. Ogni persona, ogni corpo, ogni mente merita di vivere la propria sessualità e di sentirsi rappresentata e capita.
Hai dati o testimonianze che dimostrano l’impatto positivo dell’educazione sessuale sulla riduzione degli stereotipi e della violenza?
Le revisioni e i documenti delle agenzie ONU e le linee guida UNESCO mostrano che la CSE (Comprehensive Sexuality Education) può ridurre vari fattori di rischio collegati alla violenza, come comportamenti discriminatori, scarsa consapevolezza del consenso e modelli relazionali disfunzionali, e che può potenziare competenze socio-emotive e comunicative fondamentali nella prevenzione della GBV (Gender-Based Violence, cioè violenza di genere). I risultati positivi emergono maggiormente quando i programmi di CSE sono ampi e includono dimensioni di genere, potere, relazioni, diritti.
In Italia si cercano giustamente dati, prove solide, riferimenti scientifici che mostrino l’impatto dell’educazione sessuale nel tempo. Ed è fondamentale basarsi sulle evidenze, non sulle impressioni. Il punto critico, però, è che nel nostro paese non abbiamo ancora la possibilità di osservare davvero gli effetti a lungo termine dell’educazione sessuale, perché non esistono programmi continuativi e strutturati che consentano studi longitudinali. Senza un’implementazione sistematica delle linee guida, e con interventi affidati quasi esclusivamente all’iniziativa di enti come Save the Children (https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/educazione-affettiva-e-sessuale-in-adolescenza-a-che-punto-siamo) o di singol* professionist*, è impossibile raccogliere dati che misurino l’impatto reale nel medio-lungo periodo. In altre parole, le evidenze internazionali ci dicono chiaramente che la CSE funziona quando viene applicata davvero; ciò che manca in Italia non è la prova dell’efficacia, ma la possibilità stessa di mettere questi programmi alla prova in modo continuativo.
Quali sono gli ostacoli principali – culturali, politici o burocratici – che impediscono l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole in Italia?
Il DDL Valditara sicuramente è attualmente il grosso ostacolo che impedisce la necessaria introduzione dell’educazione sessuo-affettiva in Italia. Questo disegno di legge intende subordinare l’erogazione dell’educazione sessuo-affettiva al consenso informato delle famiglie. Tradotto: l’educazione non potrà essere accessibile in modo democratico, e saranno proprio l* giovani provenienti da contesti famigliari più difficili a restarne fuori.
Abbiamo portato le nostre obiezioni proprio in merito al DDL Valditara con un’intervento in Commissione Parlamentare, che si può vedere qui: https://www.youtube.com/watch?v=NnavSlWpnqI
Come rispondete a chi crede che l’educazione sessuale debba essere un tema esclusivo della famiglia e non della scuola?
L’educazione sessuo-affettiva in Svezia inizia dalla scuola dell’infanzia (1-6 anni: rispetto del corpo, diritto di dire no, emozioni), prosegue nella primaria (7-12: pubertà, stereotipi, autonomia, abuso, relazioni sane), si completa nella secondaria (13-18: identità di genere, orientamento, consenso, contraccezione, sicurezza digitale). A chi sostiene che questi temi debbano essere trattati solo in famiglia chiedo: ma quale famiglia sarebbe in grado di spiegarli tutti all* propri* figl*?
È il motivo per cui esistono figure altamente specializzate: consulenti sessuali, educator*, personale medico e sanitario, psicolog*, psicoterapeut*, psichiatr*. Non è possibile subordinare questo insegnamento alle famiglie, perché non tutte le famiglie presentano lo stesso livello culturale e le stesse consapevolezze. L’educazione sessuo-affettiva deve essere obbligatoria e deve essere pubblica perché tutt* l* giovani possano accedervi, indipendentemente dal proprio contesto d’origine.
Che tipo di reazioni ricevete da studentə, famiglie e insegnanti? Avete storie di cambiamento da condividere?
Ogni scuola e ogni territorio hanno caratteristiche proprie, quindi generalizzare è impossibile. Nell’esperienza dell* attivist* di INSE che portano l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, le reazioni di giovani, famiglie e personale scolastico seguono linee abbastanza chiare.
L* student* accolgono sempre questi percorsi con entusiasmo e curiosità, sin dalle elementari: durante gli incontri si crea spesso un silenzio denso, attento, e nella parte di domande anonime si raccolgono tantissime richieste di chiarimento e spiegazione. Marta Galli, educatrice sessuale ed attivista di INSE, mi ha più volte raccontato che molte famiglie reagiscono in modo positivo e riconoscono di non essere in grado di affrontare da sole queste tematiche con l* propri* figli* e si sentono “liberate da un peso”. Tante famiglie vorrebbero che i percorsi di educazione sessuo-affettiva durassero di più e fossero ripresi in ogni livello scolastico, dall’asilo alle superiori.
Il mondo docente è quello più spaccato. Francesca Nava, attivista di INSE, direttrice del corso INSE Academy, docente di scuola superiore ed educatrice sessuale, ha sempre visto due gruppi molto netti: chi sostiene fortemente questi percorsi e chi vi si oppone con la stessa convinzione. Nella maggior parte dei casi, però, le posizioni non nascono da una reale conoscenza dell’educazione sessuo-affettiva, ma da convinzioni personali, etiche o politiche. Ed è proprio questo che rende complesso delegare al collegio dei docenti la decisione finale sull’attivazione o meno dei corsi: si chiede a persone non formate sulla materia di decidere se proporla.
Nonostante la fatica, noi di INSE continuiamo a crederci perché vediamo da vicino quanto questi percorsi possano fare la differenza. Sempre Francesca mi ha raccontato che un suo studente l’ha ringraziata: scoprire il concetto di consenso lo sta aiutando a vivere con più serenità le sue prime esperienze con la fidanzata. Francesca mi ha raccontato anche un episodio molto significativo: una ragazza di origine araba, terrorizzata all’idea di essere sottoposta al cosiddetto “test di verginità” durante un viaggio nel Paese d’origine, ha avuto modo di capire come funziona questa pratica e di adottare strategie concrete per proteggersi.
In altre occasioni, alcune studentesse hanno riconosciuto dinamiche di dating violence e hanno trovato il coraggio di chiudere relazioni che non erano né serene né rispettose.
Esperienze come queste ci ricordano ogni giorno quanto sia importante la nostra missione.
In che modo la vostra community può contribuire concretamente a creare una cultura del consenso e del rispetto?
INSE è composta da una comunità di più di 1300 persone, di tutte le età, sparse in tutta Italia. Organizziamo eventi di sensibilizzazione sia online sia sui territori, costruiamo spazi sicuri dove sentirsi accolt* e rappresentat*, e abbiamo un nostro corso di educazione sessuo-affettiva (INSE Academy) pensato per chiunque senta il bisogno di formarsi, capire, prendere consapevolezze. L’educazione sessuo-affettiva deve arrivare nelle scuole, e ci attiviamo per fare pressione, ma nel frattempo la portiamo ovunque, in primis nei nostri spazi e collaborando con tantissime realtà territoriali e nazionali.
Che cosa immaginate per il futuro dell’educazione sessuale in Italia nei prossimi 5-10 anni?
Ad oggi un dialogo con le istituzioni è estremamente difficile. Sappiamo che il governo attuale rema contro, ma abbiamo una forza sempre più in crescita: il coinvolgimento delle persone.
Ci auspichiamo di crescere sempre di più come movimento, di costruire una fitta rete con tutte le realtà italiane che trattano di educazione sessuo-affettiva, e fare quindi pressione sui decisori politici per arrivare ad una vera e propria proposta di legge che non finisca nel dimenticatoio. Vogliamo farlo il prima possibile, con più persone possibili. Non è questione di colore politico, è un’emergenza sociale. Non possiamo aspettare l’ennesimo femminicidio, l’ennesima violenza, l’ennesima denuncia.
Se poteste dare un messaggio ai decisori politici in questo momento, quale sarebbe?
Abbiamo un messaggio molto semplice: se per ora ci impedite di arrivare nelle scuole, noi andremo ovunque: nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nei bar, negli spazi digitali, ovunque. Sta già succedendo.
A cura di Teresa Gaia Russo e Daniele Casolino.
Con Elena Grandi di Italy Needs Sex Education.