Marco, sociologo con un focus particolare sul mondo digitale, e recentemente fondatore dell’associazione culturale “La Casa del Digitale”. Crede fermamente che la nostra generazione, che ha vissuto in prima persona il cambiamento tecnologico, abbia la responsabilità di facilitare la transizione digitale per le nuove generazioni. Ha lavorato su vari progetti di sviluppo locale con enti pubblici e privati, tra cui la ricostruzione in realtà aumentata di un castello in un borgo della mia provincia, unendo tradizione e innovazione.
Ciao Marco ci racconti in breve chi sei, di cosa ti occupi, del tuo lavoro e dei tuoi progetti?
Mi occupo di sociologia con un focus particolare sul mondo digitale e, di recente, ho fondato l’associazione culturale “La Casa del Digitale”. Ho spesso aiutato le persone nell’utilizzo delle tecnologie, convinta che la nostra generazione, avendo vissuto in prima persona il cambiamento tecnologico, abbia la responsabilità di facilitare questa transizione. Nel corso degli anni, ho avuto l’opportunità di lavorare su diversi progetti di sviluppo locale con enti pubblici e privati. Uno dei più recenti ha riguardato la ricostruzione in realtà aumentata di un castello in un borgo della mia provincia, un progetto che unisce tradizione e innovazione. Ho anche portato il digitale nell’ambito sanitario, realizzando una banca dati multimediale per un progetto di assistenza domiciliare, che ha generato risultati sorprendenti: oltre alla formazione degli assistenti familiari, ha dato vita a nuove iniziative per i caregiver, premiato come uno dei primi 8 progetti di welfare in Italia. Mi occupo anche di turismo e sviluppo locale, curando la creazione di contenuti per siti web e social media. Inoltre, collaboro attivamente con associazioni locali per la gestione di un centro sociale nel mio quartiere, convinta che l’innovazione e la tecnologia possano migliorare la qualità della vita delle persone e valorizzare le risorse della comunità.
Come mai hai deciso di intraprendere questo percorso? Che cosa ti motiva e ti interessa veramente?
Sono naturalmente orientato verso il sistema sociale, a comprenderlo e, se possibile, a suggerire ai committenti politici manovre più efficaci e migliorative per la vita delle comunità. Ho intrapreso questo percorso perché credo di avere un’attitudine particolare nell’individuare e rendere esplicite le risorse e i valori – che siano personali, aziendali o organizzativi – dei soggetti con cui collaboro. I miei sforzi saranno orientati verso l’esportazione della capacità etica radicata nei calabresi, frutto della loro storia culturale, convinto che il mondo ne abbia bisogno.
Dove vivi e lavori?
Vivo e lavoro a Catanzaro, in Calabria.
Quali sono le criticità più importanti nel tuo territorio? (la regione in cui vivi)
Una delle principali difficoltà che riscontro è la mancanza di una rete efficace tra gli enti che operano nello stesso settore. Penso che a partire da una comunicazione strutturata si possa arrivare a collaborazioni più funzionali, snelle e quindi efficaci. Queste problematiche si calano dal livello regionale a quello dei singoli borghi, dove l’incomunicabilità, spesso rivalità, deve essere superata se non si vuole vedere sparire determinate specificità che invece potrebbero costituire fattore di rilancio, anche importante, del proprio territorio.
Nel tuo territorio cosa dovrebbe portare l’innovazione sociale per generare un vero cambiamento?
La pandemia vissuta ha costretto a un cambiamento rapido di molti aspetti della nostra società, alcuni dei quali molto positivi. La concentrazione di risorse umane verso un obiettivo ha prodotto conoscenza in modo capillare nei più diversi settori. Lo sviluppo dei webinar come momenti di confronto è diventato una modalità consolidata. Ora dobbiamo fare il passaggio successivo: dobbiamo tradurre questi legami, deboli ma potenti, in azioni che abbiano un impatto nel mondo reale. La conoscenza prodotta è a livello nazionale, ma può essere facilmente accessibile e applicata anche nella più piccola comunità di questo Paese. Dobbiamo rigenerare i territori fragili attraverso la creazione di progetti di comunità, usare la cultura come approccio per la creazione di sistemi, prodotti e servizi innovativi, e combattere gli eccessi del turismo di massa attraverso esperienze rigenerative e trasformative, sia per le persone che per i luoghi.
Quale contributo porti alla nostra comunità? (Apical/Solar)
Il mio contributo riguarda il clima organizzativo: sono un ottimo mediatore e so valorizzare le risorse di ciascuno dei miei colleghi e colleghe. Le nuove tecnologie offrono opportunità importanti che posso abbinare alla mia creatività per raggiungere gli obiettivi insieme al gruppo.
Cosa vedi nel futuro dell’innovazione sociale?
Credo che il futuro dell’innovazione sociale passi necessariamente attraverso una maggiore integrazione tra digitale e comunità. Le tecnologie dovranno diventare strumenti accessibili a tutti e tutte, soprattutto nelle aree periferiche, come quella in cui vivo, a Catanzaro, dove le disuguaglianze sono spesso più marcate. Vedo un futuro in cui la collaborazione tra enti pubblici e privati sarà essenziale per creare reti forti e sostenibili, capaci di generare soluzioni concrete alle sfide sociali. Il futuro, insomma, lo vedo fatto di spazi che uniscano tecnologia e legami umani, dove ogni progetto non sia solo innovativo, ma anche realmente inclusivo e orientato al benessere collettivo.
Che consigli daresti a una persona che vuole intraprendere una strada simile alla tua?
Dalla fine del percorso di studi dovrebbe individuare qualche opportunità di tirocinio in organizzazioni ben strutturate dove poter sicuramente imparare il più possibile ma magari prendere di punta l’ambito e l’argomento e da li inseguire il percorso e le occasioni che ne vengono fuori. Oggi online si può trovare tutto e subito ma per orientarsi occorre avere una base solida e poi cogliere le occasioni che si presentano da ogni parte.
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