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Architetta esperta in rigenerazione urbana e processi di innovazione sociale, Stefania Manzo si impegna a promuovere l’empowerment comunitario attraverso la co-progettazione. Si occupa di trasformare spazi dismessi in risorse vive per la comunità, con un approccio che integra design thinking, architettura partecipativa e arte.

Ciao Stefania ci racconti in breve chi sei, di cosa ti occupi, del tuo lavoro e dei tuoi progetti?

Sono un’architetta specializzata in rigenerazione urbana basata su processi culturali e innovazione sociale. Il mio lavoro si concentra sull’empowerment territoriale e comunitario, favorendo la co-progettazione e la co-produzione attraverso un coinvolgimento attivo dei/delle cittadin* e delle realtà locali. Sono esperta in mappature territoriali e riuso adattivo degli spazi, mirando a trasformare luoghi dismessi o sottoutilizzati in risorse vive per la comunità. Nel mio approccio, integro strumenti di design thinking, architettura partecipativa e arte, con l’obiettivo di sviluppare soluzioni innovative e sostenibili.

Come mai hai deciso di intraprendere questo percorso? Che cosa ti motiva e ti interessa veramente?

Amo facilitare processi di consapevolezza urbana e promuovere l’autodeterminazione degli spazi, innescando cooperazione tra persone, luoghi e risorse. Ho scelto di dedicarmi a questi temi perché mi stanno a cuore i diritti, sia individuali che collettivi, e la valorizzazione dei beni comuni emergenti, frutto di anni di attivismo. Questo percorso mi permette di coniugare le mie due grandi passioni: la progettazione e l’utilizzo di strumenti artistici, in particolare le pratiche corporee situate, che considero fondamentali per creare connessioni profonde tra le persone e i luoghi.

Dove vivi e lavori?

A Palermo e Napoli 

Quali sono le criticità più importanti nel tuo territorio? (la regione in cui vivi)

Sicuramente la mancanza di servizi, educazione civica, sviluppo territoriale sostenibile, accessibilità e inclusione sociale. Inoltre l’assenza di una proposta culturale che valorizzi il territorio e la comunità in modo generativo e non estrattivo, rappresentano sfide importanti. A questi si aggiungono i problemi ambientali emergenti, come la siccità, l’emergenza idrica, gli incendi dolosi e il crescente fenomeno della microcriminalità.

Nel tuo territorio cosa dovrebbe portare l’innovazione sociale per generare un vero cambiamento?

L’innovazione sociale dovrebbe promuovere una visione sostenibile che tenga conto delle comunità e dei loro territori, garantendo a tutt* il diritto all’orizzonte, cioè la possibilità di immaginare un futuro migliore. È fondamentale garantire accessibilità e inclusività per tutte le minoranze e le persone marginalizzate, in un’ottica sistemica e non estrattiva. Tutte le criticità possono essere trasformate in risorse se messe a sistema attraverso la lente delle pratiche culturali situate.

Quale contributo porti alla nostra comunità? (Apical/Solar)

Mi piacerebbe portare una visione integrata che consideri le sfide da prospettive diverse e interconnesse, unendo il meglio di vari ambiti. Inoltre, credo che empatia e ascolto profondo siano essenziali per creare un ambiente collaborativo, dove ogni voce venga rispettata e compresa, favorendo la coesione e il lavoro di squadra.

Cosa vedi nel futuro dell’innovazione sociale?

Vedo nell’ innovazione sociale una chiave fondamentale per affrontare in modo integrato le sfide sociali, ambientali, culturali, etiche e politiche. Essa permette di unire queste diverse rivendicazioni in una visione comune, offrendo soluzioni propositive e trasformative. Attraverso nuovi modelli partecipativi e inclusivi,  può rispondere ai bisogni emergenti delle comunità, promuovere la giustizia, e stimolare un cambiamento sostenibile. In questo modo, diventa un mezzo per superare approcci frammentati e affrontare i problemi contemporanei in modo collettivo e intersettoriale.

Che consigli daresti a una persona che vuole intraprendere una strada simile alla tua?

Direi che è una strada difficile, molto recente in Italia e ancora da definire. Manca un riconoscimento di questo ruolo, a differenza di altri paesi. A mio avviso, deve diventare un modo di vivere, una scelta etica e coerente con ciò in cui si crede. È importante avere voglia di cooperare e collaborare per scopi comuni e collettivi, lasciando da parte l’ego e l’autocelebrazione, mettendo davanti il “bene comune” con umiltà e ascolto profondo.

Questa storia ci ricorda come, attraverso il lavoro di Stefania, il coinvolgimento attivo dei/delle cittadin* e la valorizzazione degli spazi sottoutilizzati possano trasformare le criticità locali in opportunità. La sua passione per la co-progettazione e l’empowerment comunitario evidenzia la necessità di una visione integrata che favorisca l’inclusione sociale e la consapevolezza urbana. Inoltre, la sua esperienza mette in luce la necessità di una collaborazione e di un approccio etico per promuovere un cambiamento sostenibile e duraturo.

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