Prova (1) Copia

Nella notte del 13 giugno, Israele ha colpito un centinaio di obiettivi in Iran, dando avvio a quella che sarà poi battezzata come “la guerra dei 12 giorni”. Non è tardato l’intervento degli Stati Uniti, che hanno partecipato al conflitto inizialmente con un attacco diretto all’Iran (operazione “Martello di Mezzanotte”), per poi proporsi come mediatori con una richiesta di cessate il fuoco, perdendo credibilità nei trattati con l’Iran.

Durante questa fase, si è acceso il dibattito sui rischi per l’Italia in caso di un’escalation, a causa della presenza di basi militari americane sul territorio nazionale. Di conseguenza, è scattata l’allerta su obiettivi sensibili: siti militari, truppe italiane e NATO dislocate in Medio Oriente, centri storici e ambasciate.

Ma quali sono, concretamente, i pericoli per l’Italia?

Il conflitto

Il 13 giugno 2025 Israele ha bombardato l’Iran colpendo installazioni militari e nucleari, uccidendo scienziati e alti ufficiali. Il giorno successivo, il Mossad, in coordinamento con l’aviazione israeliana, ha impiegato droni per sabotare lanciamissili e difese aeree, cercando di neutralizzare la risposta iraniana, che tuttavia non si è fatta attendere.

La situazione si è aggravata il 22 giugno, quando gli Stati Uniti, fino a poco tempo prima impegnati in trattative sul nucleare con Teheran (negoziati ispirati agli accordi avviati da Obama e poi smantellati dal governo Trump nel 2015), hanno attaccato unilateralmente tre siti nucleari iraniani, senza mandato dell’ONU né approvazione del Congresso americano.

L’azione sarebbe forse frutto di un pressing da parte di Tel Aviv, che necessitava dell’intervento statunitense per via delle armi di precisione e delle capacità logistiche superiori. Washington avrebbe prima intimato all’Iran di non reagire agli attacchi israeliani, minacciando gravi ritorsioni, per poi procedere con l’operazione. Teheran, appellandosi al diritto di autodifesa e alla tutela della sovranità nazionale, ha definito i bombardamenti americani “oltraggiosi” e ha annunciato che le basi USA nel mondo potrebbero divenire obiettivi legittimi.

Le motivazioni secondo Israele

Il Primo Ministro israeliano ha motivato l’attacco come una “difesa preventiva”, sostenendo che fosse necessario per “proteggere Israele, il mondo arabo pacifico, l’Europa e l’America”.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) aveva sì espresso preoccupazione per il livello di arricchimento dell’uranio iraniano (circa il 60%), oltre la soglia prevista dagli accordi del 2015, ma nessuna arma nucleare era stata realizzata, né si era superata la soglia dell’arricchimento a scopi militari (oltre l’85% di Uranio-235). Lo ha confermato Rafael Grossi, direttore dell’IAEA, in un’intervista alla CNN.

Non vi erano dunque prove concrete che l’Iran intendesse minacciare la regione con armi nucleari. Tuttavia, il governo Netanyahu ha affermato di avere “informazioni sulla volontà iraniana di usare la bomba per scopi terroristici”. Una dichiarazione grave ma non suffragata da fonti verificabili.

Il blocco USA-Israele ha giustificato l’uso della forza come mezzo per “preservare la pace”, posizione che risulta paradossale e in evidente contrasto con il diritto internazionale.

L’IAEA, nelle risoluzioni GC(XXIX)/RES/444 e GC(XXXIV)/RES/533, ha sempre condannato “qualsiasi attacco armato e/o minaccia contro infrastrutture nucleari, poiché costituiscono una violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e dello Statuto dell’Agenzia”.

L’Italia è coinvolta?

In seguito agli attacchi, sono emerse preoccupazioni per le possibili ripercussioni sull’Italia. Tra queste, la minaccia (giunta il 22 giugno) di una chiusura dello Stretto di Hormuz, da cui transita circa un terzo del petrolio mondiale, con potenziali effetti devastanti sul prezzo dell’energia, specialmente per i Paesi membri dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).

Ma il timore maggiore riguarda la presenza di oltre 120 installazioni NATO in Italia, spesso impropriamente descritte come “basi americane”. Queste infrastrutture, in caso di rappresaglie iraniane, potrebbero diventare obiettivi sensibili.

Quante basi USA ci sono davvero?

La cifra di “120+20 basi americane” è fuorviante. Le basi a uso esclusivo statunitense in Italia sono circa 7-8, integrate in un sistema NATO a scopo difensivo. Le altre sono installazioni militari condivise con varie funzioni: radar, depositi, centri logistici, telecomunicazioni.

Le principali basi USA in Italia sono:

Sebbene formalmente sotto comando NATO, molte di queste basi sono operativamente controllate dagli Stati Uniti.

Le reazioni del governo Meloni

Il 23 giugno, la Premier Giorgia Meloni ha dichiarato alla Camera che le basi USA in Italia non verranno utilizzate per attacchi all’Iran. Tuttavia, non ha fornito dettagli sulla strategia dell’Italia per i prossimi sviluppi.

Eppure, il 1 luglio, un carico d’armi diretto in Medio Oriente è stato bloccato da uno sciopero sindacale, fatto che solleva dubbi su un possibile sostegno – diretto o indiretto – dell’Italia ai conflitti attualmente in atto.

Ma chi decide davvero l’uso delle basi?

Gli accordi in vigore risalgono al 1954: l’Air Technical Agreement (ATA) e il Bilateral Infrastructure Agreement (BIA), quest’ultimo tuttora secretato. Ufficialmente, l’Italia deve autorizzare ogni utilizzo delle basi, ma gli spazi interpretativi sono ampi, e in passato gli USA hanno agito in autonomia, come durante la guerra in Iraq.

Secondo il costituzionalista M. Ainis, sarebbe necessaria l’autorizzazione parlamentare, richiamando l’art. 11 della Costituzione: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa” e come strumento di risoluzione dei conflitti.

Diversamente, il ricercatore Pauciulo osserva che in molte situazioni le autorizzazioni sono state concesse informalmente, e il Parlamento è stato coinvolto solo quando erano presenti truppe italiane o asset militari nazionali.

Questa prassi informale, unita alla dipendenza strategica dagli USA e ai massicci investimenti nell’industria bellica, alimenta le paure di un coinvolgimento indiretto dell’Italia e di eventuali ritorsioni sul nostro territorio.

I rischi per la sicurezza nazionale

Come riportato da Il Sole 24 Ore:

Bersaglio di attacchi terroristici potrebbero diventare i centri della presenza Usa in Italia. Non è un caso che l’intelligence sia da giorni allertata: al Ministero dell’Interno c’è stata una riunione del CASA (Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo) e, sempre al Viminale, è stato convocato il CNOSP (Comitato Nazionale Ordine e Sicurezza Pubblica), presieduto dal Ministro Matteo Piantedosi con la partecipazione dei vertici di intelligence e forze di polizia.

Conclusioni

I rischi per l’Italia sono economici, per la dipendenza energetica da aree instabili come il Medio Oriente, e di sicurezza, per la presenza di infrastrutture NATO/USA sul territorio.

Dopo l’ennesimo dietrofront dell’amministrazione Trump, che da presunti intenti pacifici è passata a operazioni militari unilaterali, diventa fondamentale che l’Italia mantenga una linea coerente con l’articolo 11 della Costituzione. Un’escalation potrebbe avere conseguenze drammatiche sia sul piano economico che su quello della sicurezza pubblica.

Ribadire il valore degli accordi internazionali e il ruolo della NATO come strumento difensivo, non offensivo, è essenziale per evitare che gli interessi strategici degli USA o di Israele ci trascinino in guerre non nostre. Meno allarmismo e meno investimenti nel settore bellico possono contribuire a proteggere sia la nostra sicurezza che la nostra coscienza democratica, oltre che pesare meno sui portafogli dei cittadini. Secondo dati aggiornati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), infatti, gli investimenti globali in spesa militare nel 2025 hanno superato per la prima volta i 2.500 miliardi di dollari. L’Italia è tra i Paesi UE con l’incremento più rapido rispetto al PIL. Questo rafforza anche le preoccupazioni su una deriva militarista nel contesto internazionale.

Infine, sebbene sia stata raggiunta una tregua temporanea, è importante vigilare: gli attacchi a infrastrutture nucleari non possono mai essere giustificati, poiché mettono in pericolo la salute pubblica e ambientale a livello globale.

Come sottolineato dalla stessa IAEA, la tutela degli impianti nucleari deve essere una priorità assoluta, in un’epoca in cui il nucleare viene considerato una risorsa per la transizione ecologica, da affiancare alle fonti rinnovabili.

A cura di Giovanna Borrelli.

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