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Comunicazione sociale, fundraising e progettazione: tre ambiti che, insieme, possono generare un impatto concreto e duraturo. Claudia Pozzi lavora da anni in questo intreccio, con l’obiettivo di rafforzare la sostenibilità delle organizzazioni non profit e promuovere un cambiamento che parta dalle persone. In questa intervista ci racconta il suo percorso, nato quasi per caso ma trasformato in una vera e propria missione professionale, con uno sguardo sempre rivolto all’impatto reale sui territori e sulle persone.

Ciao Claudia, ci racconti in breve chi sei, di cosa ti occupi, del tuo lavoro e dei tuoi progetti?

Mi occupo di sviluppare l’attività di comunicazione sociale e fundraising per l’implementazione della sostenibilità di una organizzazione non profit. Inoltre, svolgo anche attività di progettazione sociale e di bandi (non complessi).

Come mai hai deciso di intraprendere questo percorso? Che cosa ti motiva e ti interessa veramente?

Ho iniziato per caso questo lavoro, spinta dal desiderio di “aiutare il prossimo”. Nel 1991 sono capitata nel primo studio di consulenza di fundraising, lo Studio Lentati, in quanto volevo fare la volontaria di Action Aid (allora Azione Aiuto). In questo modo ho avuto la possibilità di scoprire e iniziare la professione di fundraiser.

Dove vivi e lavori?

Milano.

Quali sono le criticità più importanti nel tuo territorio? (la regione in cui vivi)

Milano è una grande metropoli che offre molte opportunità, ma che ha anche rilevanti criticità: l’aumento delle disuguaglianze sociali, che si riflette in un accesso sempre più difficile a servizi essenziali come casa, istruzione e sanità, soprattutto per le fasce più fragili della popolazione. A questo si aggiunge la crescente solitudine, in particolare tra anziani e giovani, e la frammentazione del tessuto comunitario, che rende più difficile costruire percorsi di inclusione e partecipazione attiva.

Nel tuo territorio cosa dovrebbe portare l’innovazione sociale per generare un vero cambiamento?

Nel mio territorio, l’innovazione sociale dovrebbe puntare a ricostruire legami di comunità e a ridurre le disuguaglianze, mettendo al centro le persone e i loro bisogni reali. Servono modelli partecipativi che coinvolgano attivamente cittadini, istituzioni e terzo settore nella co-progettazione di soluzioni sostenibili e inclusive. Un vero cambiamento si genera quando l’innovazione riesce a creare connessioni tra ambiti diversi – sociale, culturale, ambientale – e diventa un motore di empowerment, soprattutto per chi vive ai margini. In tutto questo, il digitale rappresenta una risorsa importante, ma va usato con consapevolezza: se da un lato facilita l’accesso alle informazioni e ai servizi, dall’altro rischia di incrementare l’isolamento e l’asocialità, in particolare tra i più giovani, rendendo ancora più urgente il bisogno di relazioni autentiche e spazi di incontro reale.

Quale contributo porti alla nostra comunità? (Apical/Solar)

La co-partecipazione alle creazione di progetti e strategie di fundraising.

Cosa vedi nel futuro dell’innovazione sociale?

Il ritorno al rapporto umano e autentico tra le persone, soprattutto in presenza. Rieducazione ai valori e all’etica, ma anche al rispetto dell’altro in quanto essere umano. Secondo me talvolta si abusa della parola “innovazione” dimenticando ciò che stiamo perdendo.

Che consigli daresti a una persona che vuole intraprendere una strada simile alla tua?

Consiglierei di iniziare con un corso di formazione, per poi sperimentare sul campo affiancando un professionista.

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