Pelle umana e polvere di stelle

Quello che segue è un articolo di opinione scritto da Paolo De Falco, artista e collaboratore della rete di APICAL, attivo nel coordinamento di residenze artistiche e nella riflessione collettiva che accompagna le nostre progettualità. Con un linguaggio volutamente provocatorio, Paolo ci offre uno sguardo critico e disilluso sul presente europeo, tra corsa al riarmo, retoriche pacifiste e la paralisi dell’immaginario politico.
Questo testo non pretende di offrire soluzioni, ma vuole piuttosto sollevare domande, anche scomode, sullo stato attuale delle cose:
Tutti parlano, ora, di Trump e della guerra.
Dal più anonimo commentatore che a stento sa scrivere in un italiano comprensibile a quello più blasonato e legittimato chissà da chi, nessuno o quasi si vieta di commentare le vicende geopolitiche di questi giorni.
Eppure, al di là delle visioni, delle percezioni, delle illusioni o delle idee, cos’è che manca o che forse sono io a non trovare in quest’analisi collettiva così accalorata?
Prima di rispondere, mi preme fare una premessa che forse è già la risposta a questa domanda.
Ognuno di noi guarda il mondo da un oblò. Riconoscerlo, riconoscere cosa l’ha costruito, di che materiale è fatto, sarebbe, forse, già un modo per tentare di aprirlo senza essere annichiliti dalla corrente.
Il mio oblò è una cornice fatta di pelle umana e polvere di stelle.
Cosa voglio dire? Voglio dire che per tentare anch’io un’analisi di questi giorni nostri, vorrei parlare di filosofia, di storia dell’arte, di psicologia sociale e antropologia. Di metafisica.
E non tanto per mettere di nuovo al centro delle cose l’uomo e il suo mistero, quanto per ricordare a me stesso ancora che l’occidente ha fatto un percorso intenso e anche appassionato nel corso del tempo, osservando se stesso e il mondo con dedizione e intelligenza, in alcuni casi commoventi e sorprendenti.
La conoscenza procede per salti, per gradi, diceva Aristotele, e se oggi di progresso non si parla più, se esso è stato dimenticato o annichilito dallo sviluppo, come Pasolini aveva intravisto bene, non è perché il mondo e l’Occidente hanno preso una strada più concreta lasciando da parte quella nozione ideale (sociale e politica, dunque culturale) che aveva spinto non tanto segretamente il suo percorso. Quanto, a mio parere, per il fatto che il mondo non crede più a se stesso, alle sue capacità.
Per mondo s’intende l’uomo, giacché lo abbiamo dominato e assoggettato al nostro volere questo pianeta. O almeno così sembra, visto che il vero desiderio dell’uomo pochi probabilmente l’hanno compreso davvero, finora.
Sarebbe, infatti, quello di essere felice? O quello di diventare immortale? O, ancora quello di distruggersi dopo aver goduto del suo potere di farlo?
Così, in questo naufragar del pensiero e della volontà e anche della rappresentazione,
cos’è che anima ancora l’uomo, i suoi gesti, i suoi tumulti e affanni se non l’ansia di restare a galla nonostante non sappia quasi più muovere le braccia e le gambe?
È duro vivere, è duro morire.
Non credo di sbagliare nel dire che non è solo la classe dirigente ad avere quest’ansia, ma un po’ tutti.
E sebbene i ricchi passino meno tempo dei poveri sul cellulare o di fronte agli schermi che intontiscono e riducono la visione (dunque il mondo), sebbene mangino molto meglio e bevano vini eccellenti, anch’essi appaiono deboli di fronte a questo caos che organizza miliardi di persone su un pianeta ancora tanto meraviglioso quanto stanco e fragile.
E tra un salotto e l’altro, una conferenza e l’altra, un paese e l’altro investono solo in quelle cose che sono meno faticose…
A parte qualcuno…
Un pianeta fragile? Eppure la terra si rigenera costantemente, io che abito in campagna lo vedo ogni giorno…
Gli alberi sono solidi, piano ma crescono sempre, come l’erba quando piove o come i cavoli quando qualcuno li pensa a merenda.
Forse siamo solo di passaggio qui e la terra sta cominciando a fare i suoi tentativi per trovare il modo di espellerci, per fare a meno di noi e cominciare un nuovo ciclo. Dopo averci ospitato, averci fatto sviluppare, aver osservato la nostra illusione di essere imbattibili…
L’ingratitudine di cui parla Trump e il suo vice non è solo di Zelensky, ma di tutta l’umanità nei confronti di questo pianeta così dolce.
Ma torniamo alla cronaca, perché se pure sarebbe bello parlare di filosofia etc., certo, capire Trump e Putin sembra essere più importante di qualsiasi altra speculazione, no?
Questi hanno la valigetta vicino, forse sul comodino, con cui potrebbero spedire tutti all’altro mondo in pochi secondi. Tanto pochi, da non permetterci neanche di finire il gelato.
Allora, parliamo di loro.
Che gli americani siano quello che sono, solo i ciechi non lo vedono. Anzi, i fessi.
Che questa guerra fosse stata indotta e sarebbe finita come sta finendo, solo i fessi non lo potevano immaginare.
Che non era il preservare l’integrità di un paese o di una giovane democrazia a interessare Biden quanto il danneggiare il commercio russo europeo, che l’industria delle armi aveva bisogno di soldi e verifiche, anche per testare un po’ di cose in previsione di una guerra ben più grande e fondamentale per il futuro del mondo, solo i fessi potevano non capirlo.
Che la sopportazione e rassegnazione dei fessi aveva bisogno di essere verificata ancora, per capire quando e come arrivare al controllo totale, solo i fessi potevano ignorarlo.
Che i fessi sono fessi, si, solo loro potevano non comprenderlo.
Forse perché i fessi sono tanti e nella massa un fesso, tra i fessi, non si accorge di ciò che è, gli sembra di essere normale anzi unico, ora che nel dominio o nell’impero della comunicazione sociale tutti pensano di potersi esprimere liberamente. Di potersi raccontare con liberi autoritratti appassionati. Di non far parte di questa massa che invece, informe com’è, liquida, senza quasi più corpo, senza più anima, ci ha fregato, da tempo.
La dittatura è qui, invisibile, luccicosa e come inerme. Apparentemente fessa, come noi.
Così, ora, siamo qui. A chiederci cosa accadrà.
Eppure, se i fessi sono fessi un motivo ci sarà.
È tornato di nuovo il tempo delle domande?
Quando abbiamo smarrito la strada e tutto ha perso di senso?
Quando l’uomo ha spento la lanterna? Quando i ladri di biciclette hanno levato al povero Cristo o povero fesso la possibilità di costruirsi davvero l’esistenza, facendogli assaporare la dolce vita soltanto in una scatola metallica?
La risposta soffia nel vento.
Ecco, sembra che per le risposte vere non si riesca a rinunciare alla filosofia, anzi alla poesia.
Loro che sanno accogliere fino in fondo il potere delle domande.
Eppure… eppure bisogna sforzarsi di parlare di politica, anzi di real politik. Ancora.
E allora, se solo i fessi potevano o volevano non vedere quello che sarebbe successo, ovvero che Putin avrebbe vinto, per me la domanda chiave è: i leader europei sono tutti fessi?
O hanno scelto di far finta di non sapere, di non capire, per qualche motivo segreto?
Degli americani si è detto cosa volevano, ripetendo ancora una volta uno schema a cui il mondo ha assistito fin troppo: la loro storia, il loro atteggiamento è risaputo (Trump parla dell’importanza che assume l’atteggiamento giusto per affrontare le cose riferendosi a quello di Zelensky, ma, inconsciamente, sta parlando a se stesso, agli americani). Da quando hanno tradito gli indiani levandogli il diritto di cavalcare liberamente quelle terre che amavano e rispettavano profondamente e chissà da quanto, hanno portato più danni che benefici in giro per il pianeta, in nome di un sogno di libertà e ricchezza che oggi si sveglia su un mondo pieno di solitudine e ingiustizie.
Non si tratta di odiare gli Americani, o di vedere in loro tutto il male. Noi italiani poi siamo cresciuti, dopo la seconda guerra mondiale, cercando di imitarli o piacergli sempre più e questa tensione ha fatto anche bene a entrambi… per certi aspetti.
Il punto è prenderne finalmente le distanze, riconoscere non solo l’importanza e il potere di altri paesi che abitano il mondo, ma che l’interesse generale necessità, ora, che gli americani abbassino davvero la cresta e s’interroghino seriamente sul loro famoso sogno, restando un po’ coi piedi per terra. Per questo potremmo anche mandargli il nostro buon Marzullo. In omaggio per il grande piano Marshall concesso. O lo scalpo di Moro.
Oppure, più seriamente parlando, si potrebbe inviargli una collana di opere creative italiane, di cinema, letteratura, arti visive, teatro e musica che li aiutino a ritrovare quel senso della realtà così utile per sognare in modo proficuo.
In fondo, ricordiamolo, la cosa che gli americani hanno amato di più di noi italiani è stata la strada e il nostro modo di raccontarla, dunque quel nostro realismo che magicamente anzi fisiologicamente aveva dentro della poesia.
Non divaghiamo ancora, torniamo ai leader europei.
Possibile che essi abbiano sbagliato così tanto nel valutare le cose e che ora possano continuare a farlo?
Possano insistere dopo milioni di morti, un paese distrutto, anzi due, perché la Palestina doveva essere salvata da noi Europei, per tanti motivi. E lo facciano ancora dopo che l’America di Trump sta svelando delle intenzioni che erano già ampiamente comprensibili da anni e dopo che la Cina si sta preparando con la velocità di un orgasmo non solo a difendersi ma a vincere sugli americani?
Cosa c’è dietro questa mancanza così incredibile, così potente che rischia di mandare il mondo alla malora davvero?
Ignoranza e stupidità assolute? Oppure altro? Quale interesse, quale pensiero si nasconde?
Viviamo da tempo ormai nell’epoca della stanchezza e del sospetto.
Chi si nasconde dietro ai politicanti, a questi capi di governo così irresponsabili e apparentemente sicuri di se?
I complottisti hanno già provato a decodificare ma, forse, come scriveva Pasolini, mancano le prove? Oppure dietro di loro, altro che difesa dell’Europa, c’è un’ideologia globalista capace di mistificarsi con una strategia complessa e di usare pure il sovranismo per compiere la sua agenda politica? Un programma che fondamentalmente vorrebbe promuovere la riduzione della popolazione, la liquefazione di generi e identità, personali, collettive, territoriali, la diminuzione delle emissioni inquinanti etc. avendo a cuore la salvezza del mondo.
Questo c’è dietro ai comportamenti di questa classe politica che, prima con il Covid e ora con la guerra, spende i soldi per proteggere la vita mentre abbandona il diritto a un’assistenza sanitaria pubblica davvero efficiente e diversificata e, insomma, abbandona progressivamente tutti quei diritti che il welfare aveva realizzato in Europa?
E gli americani? Possibile che questi Trump e Musk siano così sovranisti da non capire che il mondo deve essere salvato globalmente?
Possibile che abbiano disarmato tutti i poteri forti che governano da decenni la democrazia americana? O sono solo una facciata dura che serve a rinforzare il globalismo a lungo andare, ovvero in una prospettiva più ampia?
Che confusione!
Intanto, francamente, dietro la faccia di gomma di Musk, io vedo solo un esaltato che più che avere una strategia, sembra solo intento a masturbarsi contemplando il suo potere.
Non vedo forza in lui, né visione, né particolare intelligenza. E neanche, appunto, un profondo senso della realtà. L’energia la vedo nei cinesi, nei russi che sono da sempre un popolo forte, visionario e folle; pervaso da grandi sentimenti, capaci di convivere anche con la rudezza, con la violenza perfino.
Un popolo, certo anche indebolito dal complesso o dalla smania di diventare ricco, dopo che col comunismo non poteva godersi alcun lusso, ma che sa ancora, se necessario, affrontare il freddo, i boschi, la fame.
E dietro gli europei, dietro le loro storie, le loro facce, cosa vedo io europeo?
Dove sta la loro forza, in cosa consiste la loro debolezza?
Possibile che per capirli questi europei, capire cosa faranno, invocare un loro sussulto bisogna guardare agli americani, ai cinesi e ai russi?
Già, i russi, che ora dovrebbero invadere e dominare l’intera Europa…
Fermo restando che per me i russi sono sostanzialmente europei (anche per questo non ho mai temuto, né lo temo ora, che Putin invada la Polonia o altri paesi), posso tuttavia capire che essi incutano della paura. Non sono i turchi che ci invadevano nelle notti insonni, ma hanno qualcosa di misteriosamente regale nel loro incedere che viene paura di esserne sottomessi.
E poi, è realistico pensare, che gli americani, volente o nolente, sono destinati in tempo breve ad abbassare, eccome, la cresta; a perdere il loro grande potere.
Forse Trump e i suoi dazi servono non solo a rinforzare segretamente il globalismo ma anche a provare a ritardare questo destino alle porte, senza fare subito la guerra alla Cina.
Il mondo sta girando… e io credo che fondamentale in questo spostamento dell’asse globale è stata e sarà sempre più l’Africa che, infatti, è stata quasi del tutto colonizzata dai cinesi e dai russi, in questo inizio di terzo millennio.
Per questo il Mediterraneo e Israele sono di fondamentale importanza per il futuro americano. Per questo noi italiani potremmo rappresentare un anello di fondamentale importanza per loro.
Intanto però, cosa succederà, cosa accadrà a questa nostra Europa?
I tedeschi sono in crisi profonda, perché il mondo li ha colti con la velocità della luce mentre loro procedevano a regime di crociera. E non brillano per flessibilità.
Gli inglesi e i francesi hanno più voglia di tutti di impedire l’espansione o meglio la salute ai russi. Degli inglesi non mi meraviglio affatto. Da secoli sono dei colonialisti, conservatori e guerrafondai e smembrare la Russia resta una loro forte ambizione. Il loro grande potere finanziario può dialogare con la Cina, ma non può ammettere una vittoria di Putin che indebolirebbe ancora di più quell’Europa a cui loro non credono, ma che gli serve ancora viva per varie ragioni.
I francesi non li capisco più: la loro grandeur, che tanto li ha preservati da questo villaggio globale, ora li porta verso l’arroganza che sempre distacca dalla realtà.
Fino a pochi anni fa i francesi si ribellavano in modo più serio ai loro governanti, forse il fallimento dei 5 stelle italiani ha placato la loro proverbiale laicità e voglia di vivere?
Forse, dopo averci amato e odiato, non ci sopportano più e anche per questo la vogliono ora, pure loro, inconsciamente distruggere questa Europa che hanno illuminato e ispirato più di chi altro?
Orsini parla di un processo di psicoanalisi che l’Europa dovrebbe fare… andando indietro nel tempo o in avanti… lì dove i sogni incontrano altre realtà, ancora da scoprire.
Tanti anni fa ho studiato a Cracovia, vivendoci per un anno. Era il 1992. Poco prima che arrivai, Gorbaciov fu rapito. La Polonia, si sa, è stato il primo paese che, per opera del papa, si levò dall’influenza comunista. Un paese con un’identità forte e complessa, costretto a subire da sempre invasioni che l’hanno provato fortemente, e che nei confronti dei russi conserva un fastidio atavico. Eppure, qualcuno mi raccontava, in quei mesi passati a studiare teatro e a bere bollenti tè e caffè nei romantici locali del quartiere ebraico che fioriva a nuova vita, che l’epoca comunista, con i suoi ozi e le sue deresponsabilizzazioni, con la sua apatica rilassatezza, non era poi così male.
La frenesia con cui Cracovia voleva entrare nel mondo capitalistico impattava con il bisogno di godere ancora dell’istante, di ammirare la funzione o il potere che l’arte poteva avere sul nostro animo, di baciarsi alla luce di una candela senza tempo.
Qualcun’altro poi mi parlava della capacità polacca di mantenere segreti e di conservare ancora, in qualche suo remoto luogo sotterraneo, oggetti e segni vari di quel grande passaggio/esproprio di cose che durò per tutto il tempo della seconda guerra mondiale.
Intanto lo studio del mio maestro Tadeusz Kantor mi mostrava l’importanza dell’immaginazione, di come l’uomo assediato da mille cose, possa costruirsi, consciamente o inconsciamente, una sua personale via di salvezza.
Kantor parlava di una stanza o uno stanzino privato dell’immaginazione dove, appunto, tentare di salvarsi dalle opprimenti incombenze assolutistiche del mondo contemporaneo.
Non importa che Kantor fosse un genio o un artista, o che le piccole case polacche che visitavo presentavano tutte delle bellissime pareti di libri, come a proteggere l’intimità di quello spazio privato con l’anima profonda del mondo; ciò che importa, ciò che può essere utile prendere dalla sua opera, dal carattere polacco, è questa indicazione di salvezza, questa lotta sacra da destinare a qualsiasi individuo sulla terra.
Sappiamo com’è andata a finire: il terzo millennio è arrivato e con la sua spaventosa accelerazione tecnologica ha annichilito quello stanzino e quelle pareti, sostituendolo con un computer e poi con un cellulare che ora conservano per noi, parlano per noi, organizzano e baciano per noi. Tra poco anche mangeranno e cacheranno per noi che intanto, probabilmente, non ci saremo più.
Eppure, come qualcuno mi disse in quei giorni parlandomi del novecento e delle sue epopee, delle sue varie ferite aperte, oppure come capivo guardando commosso lo splendido e grande imballaggio del xx secolo che Kantor creava con il suo teatro in “Qui non ci torno più”, le cose del passato da qualche parte vanno a finire. Ad aspettare ancora.
E i problemi di oggi risiedono ancora in quegli avvenimenti, in quelle ferite, quei traumi che non si sono mai risolti veramente.
La conoscenza avviene per gradi.
Tutti parlano di Trump e Zelensky ora, del loro match che avrebbe cambiato il mondo.
I veli si scoprono, a volte proprio per restare.
Tutto il sistema mediatico è basato su questa logica progressiva: svelare, portare l’apparente realtà agli occhi del pubblico, abolire i segreti, il dolore, la morte, mostrandoli sempre più, portare l’uomo qualunque alla cronaca, alla diretta, alla fama di un giorno, come Warhol aveva profetizzato. Portare l’uomo qualunque al potere. Apparentemente.
Annichilendo così la vera libertà individuale e il potere della realtà, che invece possono metterci di fronte a delle scelte e dunque responsabilizzarci. Che possono farci concentrare sul vero cammino e non solo sulla smania di comparire, per illudersi di esserci.
Così, mentre ci si accaparra per capire chi è la vittima e chi il carnefice, chi il tiranno e chi pensa al bene del suo popolo, ci impediamo di accorgerci che forse ovunque non esistono più le democrazie, come quasi non esistono più le persone; che ormai esistono solo delle strane società di consumatori che credono di avere un’anima quando piangono per un video con animali dolci che si amano o di bambini intelligenti che sentenziano sulla vita. Salvo non accorgersi del pianto del proprio vicino, o della sua fame.
Che pensano di pensare ed emozionarsi e invece si scaldano solo con la dopamina dell’evento che dura il tempo che dura, il tempo di un pollice abbassato o alzato nel vuoto.
Chi salverà questi consumatori di eventi?
Chi salverà l’Ucraina o l’Europa, o perfino il mondo?
Gli antichi abitanti della Mongolia, i barbari dell’estremo Nord semisconosciuto, gli arabi con le loro Mille e una notte oppure noi italiani così fragili eppure ancora unici per posizione geografica, capacità empatica e furbizia naturale?
Un altro teatrante folle e visionario che forse vide il doppio del mondo, un giorno disse con occhio crudele e insieme dolcissimo a chissà chi: Bisogna scagliarsi contro le vittime…
Dopo poco, morì in un ospedale psichiatrico, forse pensando di essere accerchiato da presenze diaboliche…
Si chiamava Antonin Artaud e oggi qualcuno lo ricorda ancora considerandolo uno dei grandi pensatori che hanno riflettuto seriamente sul mistero del teatro umano.
Io no, io ricordo a stento solo Toro seduto, che mi piaceva prendere in mano e nascondere nelle montagne del tappeto, quando giocavo ai soldatini da piccolo, solo o con mio fratello.
Lui fumava le parole eterne. Parole capaci di farti salire in groppa e andare a combattere…
“Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica se stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a se stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell’umanità.”
Toro seduto. Capo dei Sioux
P. De Falco
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