Luoghi rigenerativi e come costruirli: la storia di In our Garden
Innovazione sociale rigenerazione dei territori solar
Permacultura, turismo trasformativo e innovazione rurale: il modello rigenerativo di In our Garden

Oggi parliamo di luoghi rigenerativi e di come costruirli. Abbiamo parlato con Ramona Bavassano, co-fondatrice e ispiratrice di In our Garden. Un’oasi rigenerativa di 55 ettari che nell’incantevole sud della Sardegna, a pochi chilometri da Cagliari, ha portato a coltivazioni in permacultura, esperienze di turismo trasformativo e un incubatore di imprese rurali che stanno rivoluzionando la vita del territorio.
Parliamo di una realtà che si chiama In Our Garden, quando è stata co-fondata?
20 agosto 2020, che periodone! È stato il momento in cui per la prima volta ho avuto le chiavi di questa proprietà in Sardegna, a Quartu Sant’Elena.
Come la definisci? Cos’è?
Prima di tutto è un progetto di cambio vita che diventa realtà per fare rigenerazione umana, territoriale, fisica e di comunità. È un’azienda agricola in cui in 55 ettari di splendore e di difficoltà creiamo nuovi sistemi per riportare le persone a ricordarsi che non dobbiamo riconnetterci con la natura in quanto noi siamo natura, ma che insieme possiamo trovare le risorse per risolvere problemi comuni.
Qual è una definizione o una parola che useresti per spiegare cos’è?
Ufficialmente è un’azienda agricola che sta diventando un agriturismo. Di fatto è un luogo di incontro, di scambio di idee, di generazioni, di progetti. E sempre di più è anche un luogo di spiritualità concreta nella produzione di cibo e nella produzione di eventi, nella produzione di connessioni, nel favorire gente che vuole cambiare vita, gente che vuole tornare in Sardegna o gente che vuole vivere in Sardegna. Noi vogliamo diventare una comunità che insieme vive e lavora, generando chiaramente good vibrations, ma anche produttività concreta.
Qual è stata la scintilla iniziale, se c’è stato un episodio, un momento in cui hai deciso che questo progetto ti avrebbe assorbito e sarebbe diventato la tua vita?
Io lavoravo come psicologa del lavoro, consulente di formazione, direzione, quindi tutti lavori astratti, facevo docenze. A un certo punto ero in Brasile, in un progetto di cooperazione internazionale e ho visitato una realtà di permacultura in cui succedevano delle cose stupende. La gente riusciva a vivere e lavorare insieme, producevano, insegnavano ed era a quel punto mi è sembrato un’utopia concreta, tutti i miei istinti alla ribellione, al cambiamento sociale che negli anni magari hanno un po’ virato verso l’intellettuale. A un certo punto ho visto degli esempi concreti, ho detto voglio anch’io un posto dove chiunque ci viene, deve dire: evvai allora si può! Cioè, possiamo vivere in maniera intelligente in un contesto bellissimo, con gli stimoli culturali necessari, magari portando gente da fuori e godendosi la qualità della vita. Perché viaggiavo, lavoravo, studiavo, facevo progetti, le notti. Nella seconda parte della mia vita dopo che – irrequieta come sono – ho girato, ho viaggiato, lavorato in tutto il mondo, adesso mi siedo, ferma, progetto, penso, e poi mi metto a cercare un posto dove far succedere questa cosa, che è quello che il mondo dovrebbe far succedere continuamente: gente che si assume la responsabilità del suo operato quotidiano.
Quindi tu dal Brasile poi sei tornata in Italia, avevi già deciso che sarebbe stato in Sardegna? Com’è successo?
Io all’epoca abitavo a Salerno vicino alla Costiera amalfitana e giravo appunto molto. E quindi utilizzavo le mie occasioni di viaggiare per il mio lavoro ufficiale come occasioni anche per esplorare. Quindi ho cominciato a dire voglio un posto che deve essere biodiverso, che deve essere facilmente raggiungibile addirittura coi mezzi di trasporto. Se voglio creare una base ecologica, voglio un posto che ci deve avere la vista mare, perché io la campagna la amo, ma solo se c’è uno sgorgare di acqua o un orizzonte da traguardare! E quindi ho passato dieci anni in giro, soprattutto nel sud Italia, a cercare questo luogo. Ne ho trovati alcuni, poi è arrivata la Sardegna.
Detta così sembra tutto semplice, però scommettiamo che qualche difficoltà da superare tu l’abbia in qualche modo Incontrata. Qual è stata la storia di questo luogo agli inizi?
Quando sono venuta in Sardegna per cercare, esplorare come al solito, stavo anche lavorando, stavo facendo docenze per conto di Ernst&Young a Trenitalia e ho conosciuto una persona che adesso è qui con me, che siamo diventati molto amici, soci. Gli ho detto che avevo delle mire espansionistiche in Sardegna, se mi aiutava a cercare un posto con queste caratteristiche perché avevo questo progetto di creare un’azienda agricola multifunzionale perché avevo già studiato che quella poteva essere la forma per creare una comunità produttiva di qualità della vita e quindi ho cominciato a cercare e alla fine l’ho trovato. La difficoltà è stata prima interna a me, già stavo vivendo un po’ in Jamaica, in Sardegna, un po’ la nemesi. Io che sono molto irrequieta mi trovo su due isole, quindi ho fatto tutto un lavoro mentale per pensare se divento stanziale poi devo anche riuscire a mantenere l’intento di focalizzare l’attenzione che per me è difficile e poi è cominciata la difficoltà finanziaria. Certo, io sono stata molti anni anche sempre mentre viaggiavo nella scena internazionale della permacultura, ho fatto molto volontariato nelle conferenze, nelle convergence di Day Global EcoVillage Network. Ho vissuto in qualche ecovillaggio per lungo tempo, sono diventata Global EcoVillage Network Ambassador e quindi quando uno dice voglio creare un progetto di comunità deve essere chiaro che non è la scorciatoia. Non è più facile che stare con te stesso, stare in coppia, stare in famiglia, è tipo l’università. Molti pensano è più facile perchè si riducono meno le dinamiche egoiche. È quindi tanta consapevolezza. Poi ho pensato va bene, devo per riuscire a trovare il coraggio, non posso aspettare di trovare dieci persone che insieme con me abbiano disponibilità di tempo, intelligenza, visione condivisa, risorse finanziarie e ci divento vecchia. E ho detto: sono coraggiosa, mi lancio e faccio una strategia. Nel frattempo io che ho sempre lavorato così, con molto amore – e quindi pagata male – ho investito in comprarmi alcune casette che poi ho ristrutturato con queste manone per riuscire a mettere insieme visione teorica e materializzazione pratica. Se no poi dopo, alla fine, l’impatto che abbiamo non fa e quindi mi sono messa. Penso adesso mi vendo la casa di Salerno, poi mi vendo quella di Roma, poi me ne vendo l’altra che c’ho in Basilicata con questo c’ho una base, poi trovo il posto che mi fa innamorare e quando lo trovo arriveranno le risorse che mi serviranno. Quindi ho fatto questo gesto quando poi abbiamo trovato il posto qua ho detto: è lui, è la mia terra, è quello di cui io voglio diventare protettrice, è il posto che ha tutto quello che voglio. E di come ci insegnano i miei amici di permacultura, basta che a volte fai agopuntura del pianeta, metti un’antenna in un posto e l’antenna è come se beccasse il meridiano e fa succedere cose.
Quindi ho pensato questo posto è giusto quello dove io posso fare agopuntura del mondo e quindi creare delle piccole realtà. La difficoltà più grande è stata convincere i proprietari a attendere che trovassi le risorse per comprarlo. Il posto è grande e impegnativo, sono 55 ettari con 15 ettari già di piante messe a dimora, vigne, arance, ulivi, mandorli. Cioè è grosso, è bello, ma è difficile perché poi ci sono difficoltà oggettive sotto, tipo che essendo considerato periferia, non è che ci sono mai stati investimenti su roba seria tipo acqua, fognatura, strada. Quindi era un livello di complessità talmente arrapante che non ho resistito, con grande fatica.
Anche coraggio perché che una persona parta con tanto/con poco, decidere di investire tutto se stesso senza quasi avere una strada di exit strategy, è un atto di coraggio. È bellissimo raccontare la storia di un luogo che è incredibile, 55 ettari ne fa un unicum ed è evidente poi ci sono tantissime esperienze che in qualche modo assomigliano alla tua, con dimensioni inferiori, che hanno fatto dei percorsi più progressivi e così via. Però la tua storia è entusiasmante perché ascoltandoti una persona capisce quanta decisione, quanta visione e quanto le cose per te siano quasi non solo chiare ma inevitabili. E questo è molto ispirazionale. Parlavi della permacultura, è un po’ forse al centro delle attività che fate, ma non è l’unica. Vi occupate di ospitalità? Si può fare volontariato da voi? Quali sono in effetti i progetti, gli sviluppi, le attività che caratterizzano il vostro luogo oggi?
Organizziamo fin da subito, quasi tutti i fine settimana, eventi con la comunità locale, sia per conoscere persone che poi per vendere in maniera diretta le nostre arance o il nostro vino. Organizziamo attività, ci alleniamo a diventare un agriturismo e sviluppiamo idee. Nel frattempo, durante la stagione turistica, cerchiamo di essere aperti il più possibile a chi vuole passare del tempo in campagna. E offriamo attività di turismo esperienzale. Cerchiamo di avere un minimo di risorse che ci permettano di continuare a investire per migliorare la produttività e anche le strutture.
Quindi fate una serie di eventi ospitati, organizzazioni che vengono da voi a fare attività e in questo modo rendete anche più visibile ciò che attraverso la permacultura producete. In qualche modo questo diventa un pezzo della sostenibilità perché di fatto vi permette di vendere, e dall’altro lato c’è una parte turistica. Raccontavi anche di un incubatore, di cosa si tratta?
L’incubatore rurale di impresa è il prossimo progetto che voglio creare. Guardiamo i dati: quali sono i lavori più richiesti nel futuro, di quelli di cui ci sarà più bisogno? Ho fatto per trent’anni questo lavoro qua, quindi mi cade l’occhio. Mentre fino a pochi anni fa era Informatic, AI ecc., adesso è agricoltura, professioni specialistiche nella produzione di cibo biologico, facilitazione di gruppi e artigianato di qualità. Quindi la mia sfida in questo momento è rendere l’agricoltura e l’artigianato sexy. Voglio creare un incubatore rurale di impresa per facilitare altre persone a ricollegarsi col fatto che avere successo nella vita, vuol dire esprimere il tuo potenziale godendo di quello che fai. Che cosa facciamo? Vogliamo dimostrare che uno stile di vita che è quello che tutti sognano, quando vado in pensione voglio stare in campagna, avere degli amici, fare delle cose interessanti, studiare, approfondire e conoscere il mondo stando fermo. Stiamo provando, lo vogliamo in tanti questa cosa, è quindi costruire dei luoghi di pratica.
La gente risponde il territorio? Sei già in qualche modo riuscita a costruire una comunità umana intorno a questo luogo?
Ci sono diversi livelli. Ci sono quelli già sensibili che quindi accolgono la nostra proposta facilmente. Ci sono quelli normali che magari sono perplessi perché non siamo perfettini, perché non siamo un’attività ufficiale. Noi siamo un’azienda agricola ancora per ora, però tutte queste cose le facciamo quasi sempre così, con una formula veramente di apertura. E questo è un po scioccante, come? Offri lo spazio magari gratis, perché fa parte del mio fair share, principio della permacultura People care – Health care – Fair share cioè condividiamo il surplus. Qui c’è tanta bellezza e abbondanza, ho cominciato subito a contattare le scuole qua intorno – portate i bambini facciamo le cose pratiche – e i licei – venite che sperimentiamo – il movimento di cittadini che ci sono qua intorno con cui dobbiamo comunque realizzare dei progetti seri perché bisogna anche infrastrutturare. È un lavoro a tanti, diversi livelli però sento che siamo riusciti a ispirare e anche a connettere perché poi di fatto ci sono delle cose concrete che stanno succedendo. Si sta muovendo il tema di trovare soluzioni creative per gestire meglio l’acqua del nostro fiume quando scorre. Devo coinvolgere un livello pazzesco di istituzioni le quali però rispondono perché la logica della partnership pubblico/privata nel futuro è quella che funzionerà sempre di più perché da soli non riusciamo nessuno né il pubblico né il privato a soddisfare i bisogni. Apposta che c’è l’innovazione sociale no, ci organizziamo diversamente per soddisfare bisogni comuni. poi chiamare le persone altre che vogliono provare, incontrarle è quello che abbiamo fatto fino adesso e che continueremo a fare sempre perché la dimensione di riuscire a stare sereni in un luogo che è grande e che ha per forza i confini aperti anche questo è una bella sfida. Questi confini aperti ci comportano che arrivano un sacco di cinghiali, cervi e altre cose che capitano a un certo punto. Si tratta sempre di trovare un equilibrio armonico e noi ci stiamo provando con tanta determinazione.
Se le persone, le istituzioni rispondono, vuol dire che ciò che fate in qualche modo intercetta un bisogno o rappresenta un’innovazione, un approccio che comunque insomma crea interesse. Quali sono, se esistono, le modalità di interagire con la vostra realtà?
Visto che il mio desiderio è utilizzare la sinergia, uno più uno fa tre perché ci moltiplichiamo, interagiamo, chi si sente attratto può sempre venire da noi. Io propongo sempre: vieni a fare una vacanza, qualche giorno insieme, ci conosciamo, approfondiamo e vediamo se il tuo desiderio di cambio vita rientra in uno dei percorsi che qua stiamo per attivare. Non posso ancora farlo perché fin quando non risolvo il tema grosso del costo enorme della corrente elettrica per tirare su l’acqua dei pozzi, ancora non posso dire: Ok, guarda, è pronto l’agriturismo, il ristorante da gestire – Ok, guarda, è pronta la stalla per metterci gli asini per fare una terapia – Ok guarda, è pronta la cantina per fare il turismo esperienziale di un certo livello. Queste cose non sono ancora pronte ma non è che poi appunto accadono magicamente. Quindi se uno si sente attratto, io dell’incubatore di impresa intendo avvicinare le persone, aiutare sia a cambiare la propria vita trovando spazi. Perché poi c’è tanta gente che vuole avvicinarsi alla Sardegna, ci sono tanti stranieri, tanti italiani che vogliono, non fuggire, ma costruire perché anche l’atteggiamento è importante. E quindi siamo pronti per avere persone che ci possono venire ad aiutare. Magari uno può venire e una sua competenza la può mettere a disposizione, specialmente nelle cose che io non sono più capace, non ho più voglia di fare tipo internet, social media, sito. Ho cambiato vita perché ho passato troppe ore con la faccia nel computer, poi io insegnavo web content venti anni fa, figurati adesso so scrivere però non so dove hanno nascosto i tasti per condividere, non c’è più voglia. Quindi si può sperimentare in questa formula che alla fine sarà pieno di gente che quando non sa cosa fare, pensa: “oh c’è una settimana libera vado In our Garden, aiuto!”
E poi l’altro mio progetto è quello di trasformare turisti e viaggiatori in abitanti culturali temporanei. Cioè una delle altre mie fantasie è riuscire a creare un club di persone che si riconoscono nei nostri valori perché sono valori dell’umanità tutta. Collaborare, essere in grado di unirsi con gli altri e diventare prosumer attivi, cioè fare uno schema di adozione delle nostre piante con l’idea che tu sei un membro quindi investi anche tu. Facendo community, supporter, Agriculture light, in maniera che chi viene in vacanza, noi vogliamo che ci si prenda cura delle piante in maniera che alla fine a Natale per esempio io mando il vino fatto da te e da noi insieme In our Garden che poi diventa un canale diretto. Questo è molto politico, perché lavoriamo sulla nutrizione quindi sulla salute, sulla longevità e in più bypassiamo tutti quei sistemi che nel frattempo hanno creato delle logiche perverse nel mercato e quindi lavorare direttamente con le persone, creare canali diretti, fare fisicamente le cose insieme secondo me è veramente molto innovativo.
Sfondi una porta aperta: qui in casa Apical il tema che l’attivismo abbia un’accezione estremamente più ampia e racchiuda tutte le persone che in qualche modo fanno innovazione sociale attraverso il proprio lavoro è un tema fondamentale. La parola attivismo siamo abituati a ricondurla al concetto di scendere in piazza, manifestare o magari urlare dal proprio profilo Instagram o in qualsiasi altra modalità, delle posizioni perché fare attivismo è prendere posizione. Però secondo noi, attivismo è una parola che in realtà spiega molto bene la scelta di persone come te che mettono le proprie idee al servizio del territorio, che si aprono e creano comunità che poi facilitano magari anche il percorso di altre persone, quindi in qualche modo diventa un effetto a catena. E mi piace molto che tu dica che questo ha una dimensione politica in qualche modo ma anche io dico di simbolo, cioè sapere che esiste un posto che funziona in questo modo è estremamente interessante. E dal mio punto di vista, ma credo che sia anche il tuo punto di vista, alla fine la dimensione politica e la dimensione economica appaiono un po’ come inscindibili cioè o io faccio qualche cosa che è economicamente sostenibile oppure dovrò sempre fare qualcos’altro per arrivare a fine mese. E questo alla fine è un modo di essere, come dire, schiavi in un certo senso di una condizione che non ti permette di dare le tue energie migliori, il tuo talento, il tuo tempo a qualche cosa che per te ha veramente un significato nella quale ti riconosci. Penso che questo sia un valore politico enorme. Sarebbe bello che In our Garden esistessero molti immagino, e che potessero essere tanti. E lo raccontavi, ma del resto, insomma, ci sono moltissime esperienze. E certo, io credo tante, a volte, anche con un approccio molto idealista, in un senso diverso, cioè avulse da qualsiasi dimensione economica spinte unicamente dal volontarismo, comunità spontanee e così via.. che sono esperienze estremamente interessanti. Io non dico anzi però riconosco la specificità di qualche cosa che cerca di incollare le cose insieme e creare anche opportunità di lavoro in fin dei conti.
Certo, perché il sistema lo cambiamo da dentro, da fuori prendiamo solo delle bastonate.
Serve dentro e fuori, bisogna presidiare entrambe le parti della barricata. Allora prima dicevi di venirti a trovare, secondo me questo è un messaggio molto bello con cui chiudere. Vivere dall’interno e avere anche l’opportunità di confrontarsi con te è un modo per capire anche come traslare su un territorio diverso, un’esperienza diversa e così via, imparando dalla tua energia fantastica.
Ramona, ti ringraziamo perché è stata una conversazione davvero interessante, speriamo di fare molte cose belle in futuro insieme.
Io spero tantissimo anch’io perché la sensazione è che siamo in tanti e ognuno impegnato nel suo quotidiano a portare un modo nuovo per fare le cose che poi non è nuovo perché non si era mai iniziato nessuno. È nuovo perché è adatto al momento storico in cui non bisogna tanto resistere quanto fiorire, perché un conto è sopravvivere, un conto è la resilienza. Noi vogliamo l’abbondanza, che non è lo spreco, ma l’abbondanza di risorse, di possibilità, di sognare, perché questo già ci garantisce la salute mentale e anche la salute fisica. Certo non è poco!
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